IL PRESUPPOSTO SOCIALE
Provengo da una famiglia che nel tempo ha acquisito un relativo
benessere economico, non per qualche tipo di arcana rendita passiva, ma semplicemente per le scelte lavorative e di gestione economica di mio padre e mia madre. Tutti i miei nonni erano infatti semplici contadini che, grazie al duro lavoro in campagna, non stavano male ma non navigavano nemmeno nell’oro. Stavano comunque abbastanza bene da consentire ai figli di studiare. Da figlio di contadini, mio padre ha così potuto pensionarsi da Generale dell’Esercito Italiano.
SENZA SOLDI NON SI CANTA MESSA
Per realizzare il camping, ho tentato di intercettare i fondi che l’Europa elargisce tramite la Regione Sicilia. Tuttavia, tra le presidenze di Cuffaro e Lombardo, quei fondi risultavano “congelati” (c’erano ma per il momento indisponibili…)
In ogni caso, per accedere a quei finanziamenti a fondo perduto nell’allettantissima misura del 75% (iva esclusa) avrei dovuto vincere un bando. Per avviare l’iter burocratico per vincere qual bando, avrei comunque dovuto avere qualche migliaio di euro in tasca. Riassumendo all’osso calcoli e ragionamenti, avrei dovuto disporre di tasca mia (o tramite prestito bancario) della metà della cifra totale per realizzare il progetto (che, tra l’altro, troppo piccolo non sarebbe potuto essere, altrimenti bando non ne avrei vinto…)
In sostanza, da neo laureato, avrei avuto difficoltà perfino a reperire i soldi per avviare l’iter.
Tuttavia, fortunatamente,
c’era papà a dare una mano! Così me ne sono potuto fregare anche degli intrallazzi di Cuffaro e Lombardo…
LA PRIMA PIETRA
La parte del camping oggi dedicata all’area tende, era uno dei terreni di mio nonno materno, oggi di mia madre (gentilmente concessomi in comodato d’uso), inizialmente coltivato a vigna ma successivamente, per mia fortuna, impiantato a uliveto. È quindi
il primo ulivo piantato a suo tempo da mio nonno, la prima vera pietra dell’Agricamping Sophia.
Mio zio materno per primo si rese conto delle potenzialità turistiche e commerciali di quell’appezzamento a ridosso di un fiorente Marzamemi. Non a caso in una porzione di quel terreno costruì la cantina e il punto vendita della propria azienda, Vini Sultana. Ed è proprio da lì che osservando estasiato l’uliveto all’imbrunire cominciavo a vedervi, come fosse un miraggio, delle tende piantate…
UN PROCESSO DIALETTICO
Volendo giocare con uno dei più celebri concetti filosofici, se si considera come
negazione il movimento che dai miei nonni allontana i miei genitori dalla campagna e come
negazione della negazione quello che come nipote mi riporta in campagna ma in una veste nuova includente l’esperienza dei miei genitori, la nascita dell’Agricamping Sophia è considerabile una tappa di un processo dialettico di hegeliana memoria. Tappa che certamente già sta influenzando la vita dei miei figli.
In altre parole,
quasi nessuno parte davvero da zero. E per quanto mi riguarda, sono stato piuttosto fortunato.
IL BACKGROUND CULTURALE
Quasi al termine del mio
percorso di studi in filosofia, sulla mia scrivania da un lato c’era la bozza della mia tesi di laurea, dall’altro il progetto del camping. Al netto dei fantasiosi sbocchi professionali decantati nella presentazione dei corsi di laurea, l’unica concreta possibilità lavorativa direttamente connessa a una laurea in filosofia era (e probabilmente resta) l’insegnamento. Riguardo all’insegnamento il problema era fondamentalmente la confusione regnante allora sul percorso per potervi accedere. Mi sarebbe piaciuto insegnare, non lo nego. Tuttavia avevo un’esigenza prioritaria: fare soldi per rendermi indipendente. E se molti miei ex colleghi universitari fanno gli insegnanti di sostegno (costretti quindi “inventarsi” competenze che possiedono solo parzialmente, dato che non sembra che la filosofia dia diretto supporto teorico ad avere a che fare con ragazzi problematici…), pochi altri (a quarant’anni) hanno una cattedra. No, non potevo aspettare così tanto (specialmente, perdonatemi ma purtroppo è così, a fronte di uno stipendio non all’altezza del ruolo e della responsabilità).
A un certo punto dei miei studi mi sono guardato attorno e ho visto l’uliveto di mia madre, Marzamemi che diventava sempre più di moda, una lunga esperienza da scout e nella musica, un padre che avrebbe potuto aiutarmi e una laurea in filosofia che comunque mi sarebbe tornata utile.
Tra la fine degli anni ’80 e dei ’90, per l’appunto,
sono stato scout. Lo scoutismo all’epoca non era ancora viziato dall’iper-controllo e dall’iper-ansia dei genitori (me compreso…) del nuovo millennio. Il tratto caratteristico di quello scoutismo era l’acquisizione di competenze tali da riuscire a cavarsela in quasi ogni situazione, da soli o in squadra: poco più che bambini ci facevano fare cose per le quali oggi non saprei quante assicurazioni e autorizzazioni ci vorrebbero. In ogni caso, da quell’esperienza da scout (si pensi, ad esempio, a semplici fatti come saper fare diversi nodi o montare vari tipi di tende) sto traendo, in relazione al lavoro nel mio camping, moltissimi vantaggi.
La musica l’ho sempre amata e da adolescente ho anche cominciato a suonarla. Erano gli anni d’oro del grunge, dell’iconico film “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, dei locali per musica dal vivo, per jam session. In quegli anni, il mio garage (o meglio, dei miei genitori…) era diventato una sorta di centro sociale: con gli strumenti perennemente montati, passavo con gli amici interi pomeriggi suonando.
LA RICETTA
L’idea era fondamentalmente quella di realizzare
una struttura di ricezione turistica tagliata su ciò che sapessi più o meno fare. Tuttavia non avevo alcuna esperienza diretta nell’organizzazione e nella gestione di un campeggio, tranne che per quanto concerne i campi scout… Ne è uscito fuori un camping semplice, essenziale, votato alla cultura musicale con cui avevo più confidenza: insomma, una sorta di
anti-villaggio turistico.
Per essere precisi, tecnicamente, per esigenze burocratiche, si tratta di un agri-campeggio, ossia di un’azienda agricola alla quale è assegnato un nulla osta agrituristico. Per forza di cose, per quanto riguarda la cura degli “oneri” agricoli, non ho mai ovviamente oltrepassato il “minimo sindacale”.
CHI MANGIA FA MOLLICHE
I primi due anni, in particolare, sono stati, per inesperienza, i più difficili. Ho creduto, ad esempio, che le esigenze dei lavoratori stagionali di Marzamemi, nella maggior parte dei casi “bancarellisti”, fossero compatibili con quelle dei vacanzieri. Con un romantico spirito di solidarietà, li ospitavo a tariffe di assoluto favore. A tanti però stavano strettine alcune regole, ad esempio, quella di non lasciare i propri cani scorrazzare liberamente per il campeggio. Tuttavia la cosa più complicata da incastrare erano i loro orari con quelli di “servizio” (ad esempio gli orari di lavaggio dei bagni). La convivenza per l’intera stagione estiva, in queste condizioni, si rivelava umanamente stressante, da entrambi i lati. Per questo, gli anni successivi, sono stato costretto a proporgli tariffe regolari che, ovviamente, hanno un po’ fatto da filtro e sostanzialmente risolto il problema.
Altro iniziale errore fu lavorare con i camperisti senza esser mai stato un camperista, specialmente supponendo che avessero esigenze assimilabili a quelle dei campeggiatori, tra l’altro in un ambiente pensato e organizzato per piantare delle tende. Man mano che passavano gli anni riducevo sempre più le aree dedicate ai camper, fino a quando non le ho del tutto eliminate.
In buona sostanza,
non sempre si riescono a conciliare esigenze professionali con esigenze “sociali”: un camping è pur sempre un’impresa imprenditoriale e non una onlus di volontariato.
Inoltre, cercare di intercettare più target possibili (nel caso specifico, sia campeggiatori sia camperisti) per pochi euro in più ma a scapito della qualità del servizio, alla lunga risulta controproducente anche per le tasche. Così come alla stessa logica attiene il darsi un limite strutturalmente sostenibile all’accettazione di ospiti a Ferragosto: si “rischia” così di guadagnare anche qualche migliaio di euro in meno ma, riducendo le occasioni di malcontento, si riducono anche le possibilità di recensioni negative (la cui influenza, che ci piaccia o no, non è affatto trascurabile). Io, all’uovo oggi, scelgo sempre la gallina domani…
I MIEI AMICI-COLLABORATORI
Ho quasi sempre corso il rischio di
rivolgermi ad amici fidati della città in cui sono cresciuto e vivo, Messina, per farmi aiutare nella gestione del camping. E non a caso ho utilizzato l’espressione “correre il rischio”, perché sebbene si possano dormire sonni tranquilli (non mi è mai scomparso mezzo euro, per intenderci), il rischio che un rapporto d’amicizia degeneri, lavorando per due o tre mesi all’anno a stretto contatto, condividendo ogni tipo d’emozione, è notevole. Specialmente durante i primi anni, quando l’incertezza di procedere nella giusta direzione, non consentiva la relativa rilassatezza con cui oggi, con tanta consapevolezza in più sul groppone, si può lavorare.
Fra gli errori iniziali vi fu quello di dormire perfino nello stesso ambiente. Lo facevo dagli scout, ma per una o due settimane, non per due/tre mesi… L’intuizione fu banale: anche se “siamo tutti amici e ci vogliamo bene” (cit. Elio e le Storie Tese) dobbiamo staccare la spina a un certo punto della giornata, anche dagli amici. Da qualche anno i miei collaboratori fanno base ognuno in una spaziosa tenda “glamping”: da un piccolo accorgimento ne hanno tratto vantaggio i nostri rapporti personali, la qualità del riposo notturno e del lavoro.
A NOSTRA IMMAGINE E SOMIGLIANZA
L’antropologo Augé definisce “non-luoghi” posti come McDonald, cioè posti uguali in ogni parte del mondo, con lo stesso stile d’arredamento, gli stessi prodotti in vendita, in cui tutti, avventori e personale, sono sostituibili. L’Agricamping Sophia è, di fatto, l’esatto opposto. Ad esempio, la gestione del “chiosco” è talmente caratteristica, plasmata a immagine e somiglianza di uno dei miei collaboratori storici, che se domani decidesse di non lavorare più col sottoscritto, sarebbe impossibile da rimpiazzare senza trasfigurarne radicalmente lo stile. Più in generale, l’Agricamping Sophia è esattamente come chi ci lavora e come gli amici habitué che lo frequentano (il simile cerca il simile…)
Ogni scelta, anche la scelta del tipo di caffè o della birra, rispecchia le nostre personalità. Nulla è gettato lì per caso o perché “si fa così”. Anche per una semplice pizza, noi non solo studiamo e ricerchiamo l’impasto che più si allontani dalla classica napoletana (cribbio, siamo in Sicilia!) o dalla più anonima pizza d’asporto, cercando di utilizzare il più possibile farine siciliane, ma la chiamiamo “scaccia” (così come mio nonno la chiamava). Noi non abbiamo la “Margherita” ma la “Wittgenstein”, con sicilianissima tuma e sicilianissimo datterino. Insomma,
se vuoi fare la differenza, non sforzarti di essere differente ma sii semplicemente te stesso. Infatti non piacciamo a tutti…
FIDARSI DELLE COSTANTI
Studiare filosofia ha un pregio (che, per altri versi, è anche il suo più grande difetto): ti rivolta come un calzino. E tornando a scomodarne un po’ (di filosofia, non di calzini), vado ancora un po’ più a fondo rispetto alla logica che mi ha condotto alla scelta di aprire un camping.
Credo che siamo tutti d’accordo nel definire la società umana come un sistema vivente, complesso e dinamico. In quanto “vivente”, ha necessità fisiologiche come mangiare, dormire, spostarsi, etc., considerabili delle costanti difficilmente mutabili.
Il “viaggio” oggi risponde, nella maggior parte dei casi “occidentali”, a esigenze legate al relax e al piacere, ossia, anche queste, necessità fisiologiche. In altre e più semplici parole, l’uomo nel corso della storia ha sempre mangiato, dormito, viaggiato, etc., ed è probabile che continuerà a farlo ancora per molto tempo.
Per la sagra delle ovvietà:
aprire un camping in un luogo turisticamente attraente, associandogli un’attività ristorativa, quanto potrebbe essere una mossa sbagliata?
ASSECONDARE I MUTAMENTI DELLE CONDIZIONI
Dicevamo che la società umana è un sistema vivente, complesso e dinamico. Quindi, in quanto “complesso” e “dinamico”, presuppone anche il cambiamento di una miriade di fattori. Ad esempio, cambia la possibilità di spesa delle famiglie in prossimità di crisi economiche in seguito a pandemie, per cui la medesima tariffa per affittare un bungalow ha un valore “reale” differente in relazione al periodo. Ad esempio, cambiano le mode riguardo ad accorgimenti estetici di un sito internet, per cui alcune impostazioni che prima andavano bene, oggi vanno cambiate. Ad esempio, le stesse tende di cotone degli anni ’70, soppiantate nei decenni a seguire dalle più leggere e trasportabili tende in poliestere, tornano oggi di gran moda come tende “glamping”. Ad esempio, oggi si può collocare una casa mobile senza concessione edilizia, domani no perché cambiano le leggi, dopodomani sì perché le leggi sono nuovamente cambiate. Ad esempio, proponiamo un servizio che ci sembra una figata, per poi scoprire che in realtà non si fila nessuno.
In altre parole, è vero che si può contare su determinate “costanti” su cui fondare il nocciolo di un’attività imprenditoriale, ma
se tanti altri fattori mutano, bisogna cambiare in tempo con loro.
VITA ACTIVA
Quello che finora vi ho raccontato, non è ripetizione pappagallesca di nozioni pescate qua e là. È una
riflessione sincera sulla mia esperienza da imprenditore. Ho semplicemente condiviso i ragionamenti che hanno preceduto la scelta di avviare la mia attività imprenditoriale e di correggerla via via. Riflessioni probabilmente scontate, banali. Ma è proprio per questo che, col senno di poi, hanno funzionato. Perché erano proprio lì davanti a me, bastava semplicemente accorgersene. E dopo tanta ovvietà, non posso che concludere con un altro concetto ovvio.
Qualunque prodotto un’impresa voglia vendere (sia esso un servizio, un prodotto artistico, una camicia, etc.), se appetibile al “mercato” (cioè a tuo fratello, a tua zia, al tuo amico, al tuo professore, all’impiegato di Biella, all’ingegnere olandese, etc., quindi non a un “diabolico ente astratto” nemico del popolo), allora sarà acquistato. Tuttavia, se tale prodotto, nonostante eventuali sforzi per farlo apparire più appetibile di quanto realmente sia, non lo acquista nessuno, l’impresa potrà anche pensare che il “mercato” non capisca nulla o sia ignorante, ma il prodotto rimarrà comunque invenduto…
Ovviamente (ma non è nemmeno, purtroppo, questione così ovvia…) bisogna darsi dei limiti etici, dal rifiutarsi di produrre e vendere mine antiuomo a (con i dovuti distinguo…) non incoraggiare chi non ne vuol sapere di fare la raccolta differenziata a scegliere l’Agricamping Sophia.
Parafrasando (pesantemente…) Hannah Arendt,
nessuna attività (politica, culturale, imprenditoriale, etc.) è realmente efficace se non è preceduta dall’apparente “non-attività” della riflessione.