Come qualche milioncino di italiani, sto “approfittando” di questo periodo di forzata ma inevitabile quarantena per testare alcune ricette di impasto e procedimenti di cottura in vista di migliorare le mie versioni di alcuni
lievitati siciliani.
Una premessa è d’obbligo: tutto ciò che è tradizionale soffre il limite di essere più o meno codificato e qualunque tentativo di introdurre un ingrediente o osare un procedimento esogeno viene per lo più aggredito e rigettato dai tradizionalisti radicali. Che ciò avvenga per timore di scoprire che si possa ottenere una versione migliore, nel nostro specifico caso, di
focaccia che metta in discussione la sapienza culinaria antica e sacralizzata della nonna? A scanso di fraintendimenti, con questo non voglio dire che le nonne cucinino male, anzi… Ma che spesso è necessario un po’ di coraggio, di accettazione che alcune rassicuranti certezze culinarie possano traballare… Siete disposti a rischiare? Benissimo…
Se si cerca online la ricetta della
focaccia messinese, ad esempio, si trovano per lo più
impasti diretti con abbondante abuso di strutto che darebbe più “croccantezza” rispetto all’olio extravergine d’oliva. Da buon “scientista” ho testato più di una volta sul campo questa teoria. Innanzitutto, cos’è lo strutto? In buona sostanza, lardo e sugna di suino, concentrato (per il resto c’è Wikipedia…) Quando l’ho utilizzato? Quando alcune ricette lo prevedevano (ad esempio lo gnocco fritto o i pidoni messinesi a pasta dura) e quando per qualche motivo (ce ne sono tanti…) il mio impasto non lievitava bene o avevo fretta di utilizzarlo. In altre parole, il tuo impasto è venuto una schifezza. Soluzione? Strutto. Più che conferire “croccantezza”,
lo strutto dà morbidezza anche a una suola di scarpa.
Chiaramente la mia è solo un’opinione fra le tante. Chiedo venia se risultassi poco diplomatico. Tuttavia questa è la mia esperienza in merito.
Come fare quindi un buon impasto per focaccia senza quintali di strutto? Con tanta pazienza. Se non hai pazienza, infila una “Sofficiosa Pizza Margherita Findus” (non me la sto inventando: si chiama proprio così!) in forno e in un quarto d’ora ti sarai riempito la pancia (ho però dei dubbi sui tempi relativamente brevi di digestione).
Esistono due tipi di impasto: diretti e indiretti. In breve, gli impasti
diretti consistono nell’unire direttamente quasi tutti gli ingredienti in una sola volta. Gli impasti
indiretti consistono nel far lievitare solo una determinata percentuale di ingredienti per 16 ore, aggiungendo poi i rimanenti ingredienti: nella fattispecie si parla di
poolish (100% di idratazione) e
biga (50% di idratazione). Evito di entrare troppo nei dettagli che avrò cura di approfondire in un’altra occasione. Ah! Forse devo specificarlo: l’idratazione è la quantità d’acqua rispetto alla farina.
Ho confrontato quindi tre tipi differenti di procedimento, a parità di tempo impiegato, con i medesimi ingredienti, per stabilire se davvero valesse la pena optare per un tipo rispetto a un altro:
diretto, con biga, con poolish. Tutti gli impasti hanno in comune 300 grammi di farina 00 e 200 grammi di integrale di Russello e Tumminia (entrambe semole siciliane): questo per ora passa il convento. Immagino si tratti di farine di forza medio-bassa (indicatore della forza, ossia della tenacia, dell’estendibilità e della capacità di assorbimento di liquidi, può essere la quantità di proteine per 100 grammi, tuttavia si tratta di una prova empirica da laboratorio per cui o è indicata sulla confezione o puoi…solo limitarti a dedurre)
Tutti gli impasti hanno 30 grammi di olio extravergine d’oliva, 20 grammi di zucchero, 15 di sale, il 67% di idratazione totale e 100 grammi di lievito madre. Per i più nerd: nel diretto non ho fatto fare l’autolisi pura (acqua e farina) ma mi sono limitato ad aggiungere il sale e il 50% d’olio dopo 16 ore.
Dopo 24 ore e un paio di rigeneri/pieghe (su un 67% non so sinceramente come tecnicamente considerarli) senza alterarne la composizione (quindi sempre nella ciotola e senza l’ausilio di farina aggiuntiva) ho ricavato un panetto di circa 200 grammi da ogni tipo di impasto, procedendo a ciò che tecnicamente è definito
proof, ossia al dare la forma finale che avrà la focaccia un paio d’ore dalla cottura, una sorta di “seconda lievitazione” affinché la maglia glutinica si “rilassi” nella forma finale. Dal diretto ho tratto un secondo panetto che avrei “stirato” (rigorosamente a mano poiché il mattarello bisogna utilizzarlo solo per la pastafrolla…) sul momento, per testare anche la validità del
proof. Poolish e biga hanno rappresentato il 30% dell’impasto finale. Va da sé che tutte le focacce pre-infornate avevano medesimo spessore (poco meno di un centimetro).
Ho cotto tutto su
pietra refrattaria, con un forno casalingo, come si dice in gergo, “a palla” (sulla carta 250 gradi Celsius), in modalità “pizza” (statico nella resistenza inferiore, grill in quella superiore, ventilato in quella posteriore), rigorosamente per tre minuti e mezzo (per non falsare il confronto).
Questi i risultati empirici:
- il proof non è solo forma ma anche sostanza, conferendo alla focaccia un gusto migliore, più fragranza e una cottura migliore
- l’impasto diretto senza proof è risultato meno cotto, con un cornicione appena accennato, al morso più simile alla morbidezza di una pizza napoletana ma complessivamente, seppur sufficiente, la prova peggiore tra le quattro
- l’impasto diretto con proof è risultato più uniforme a livello di forma, cottura e complessivamente migliore rispetto al medesimo impasto senza proof
- gli impasti indiretti sono entrambi risultati superiori all’impasto diretto, per uniformità ed “efficacia” di cottura, sapore e fragranza
- l’impasto con poolish è risultato essere più delicato, con un’alveolatura più intrigata, regolare e bella, tuttavia tendenzialmente meno adatto dalla biga per la panificazione
- l’impasto con la biga è quello che in un primo momento ha convinto maggiormente per l’aspettativa rispetto all’idea di focaccia che avevamo in mente, più “panoso” rispetto al poolish, quindi da scegliere in considerazione di questa particolarità
N.B. È chiaro che questo confronto non abbia valore assoluto ma è relativo agli ingredienti (scarsi), al tipo di forno, alla temperatura di lievitazione (circa 20 gradi Celsius) e a tutti i fattori ambientali che si vogliano prendere in considerazione.
Ringrazio Marta, Corrado, Filippo, Sefora, Giampiero e Lorena per la preziosa consulenza tecnico-scientifica.
CART RUTS MODELLATE SU ROCCIA MORBIDA?
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Alcune cart ruts di contrada Targia, a Siracusa, e la maggior parte delle cart ruts di Granatari Vecchi, a Rosolini, danno l’impressione di essere state impresse, modellate, su una roccia all’origine viscosa, non del tutto solida. Per quanto assurda possa sembrare quest’ipotesi, in particolare a Granatari Vecchi, la morbidezza delle forme e l’uniformità quanto meno anomala del banco roccioso, come se si trattasse di una gettata di cemento, che ospita le cart ruts, è un unicum rispetto al contesto litico in zona.
A Targia tale fenomeno è meno impressionante ma se si considerano le cart ruts essenzialmente carraie, quindi strade solcate derivanti indirettamente dal passaggio ripetuto dei carri lungo il medesimo tragitto, non si comprende il motivo per cui tale uniformità e levigazione sia presente, nella maggior parte...
CREMAGLIERA O ALLOGGIAMENTO PER GLI ZOCCOLI?
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In presenza di pendenze, anche leggere, in alcune cart ruts in contrada Targia, a Siracusa, si rilevano dei fori centrali dal diametro tra 30 e 50 centimetri e dalla profondità di 15-20 centimetri, distanti tra loro circa 50 centimetri. Non appare perfettamente regolare né la posizione (non sono esattamente al centro della carraia e perfettamente allineati tra loro), né la forma: o lo scorrere del tempo e l’eventuale usura ne hanno modificato profondamente l’originaria forma o, semplicemente, non hanno mai avuto una sistematica regolarità. Tuttavia lo sfalsamento di posizione tra un foro è l’altro, non è mai completamente “fuori asse”: c’è sempre una porzione larga una ventina di centimetri che coincide con la medesima porzione del foro precedente e susseguente. I fori meglio conservati e più definiti si...
CART RUTS TRANCIATE DA CAVE D’ESTRAZIONE
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Salto ogni preambolo, rimandando a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.
La facile tendenza accademica è stata, nella maggior parte dei casi riguardanti le cart ruts, quella di considerarle in funzione delle latomie, ossia delle cave, con le quali molto spesso (ad esempio nei casi di contrada Targia o contrada Pizzuta) condividono lo stesso territorio.
Secondo tale tesi, le carraie si sarebbero indirettamente create a causa dell’usura della roccia a ogni passaggio di carri o slitte cariche di blocchi di pietra estratti. Non riprendo le argomentazioni fin qui esposte al fine di dimostrare che si tratta di una tesi che a un’analisi approfondita delle cart ruts ha fondamenta poco solide. Tuttavia aggiungo un tassello dimostrando la non plausibilità di una loro connessione in termini...
CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO
Leggi anche LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Vagliando la possibilità che le cart ruts siano state gradualmente scavate dal passaggio di carri trainati da animali da soma, ad esempio coppie di buoi, osservando determinati tratti delle cart ruts presenti in contrada Granatari Vecchi, a Rosolini, e in contrada Pizzuta, a ridosso della Riserva di Vendicari, sorgono due domande:
1. Perché costringere gli animali a passare su asperità e sporgenze alte, rispetto alla base dei solchi, anche 60-70 centimetri?
2. Perché, alla presenza di tali ostacoli, non optare per una deviazione?
Per Mottershead, Pearson e Schaefer tali sporgenze si sono manifestate a posteriori, poiché ai tempi dei passaggi dei carri, uno strato di terra ricopriva il banco roccioso, non...
LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
Leggi anche I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.
Per procedere a questo paragone ho scelto un probabile capitello e l’angolo di un incavo presente in un blocco delle mura nord di Eloro che parrebbe somigliare a un pinax, cioè a una nicchia che avrebbe ospitato un affresco degli heroa, ma che un’osservazione più accorta rimanda a un sistema funzionale alla presa del blocco tramite un argano a pinza. Entrambi gli elementi sono, come le curt ruts, rimasti per millenni in balia delle intemperie, soggetti quindi a un paragonabile logorio dovuto al passare del tempo. La rifinitura del capitello dovrebbe essere di alto livello, poiché elemento architettonico avente funzione anche estetica. L’incavo, invece, avrebbe dovuto esigere solo una rifinitura...
I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Come riscontrabile anche in altri siti nel mondo, in alcune cart ruts da me visitate, in particolare in contrada Cugni a Pachino, in contrada Granati Vecchi a Rosolini e in contrada Targia a Siracusa, si rileva una netta bordatura, una sorta di cornice, a fianco ai solchi, maggiormente marcata esternamente, appena accennata internamente.
Le bordature da me misurate hanno una larghezza di 14-20 centimetri e un’altezza di 8-10 centimetri.
Non in tutte le cart ruts tali cornici sono presenti o particolarmente evidenti, a prescindere dal grado di usura o degrado. Si riscontrano soprattutto nelle cart ruts dai solchi meno profondi.
Come già ampiamente descritto, data la presenza di solchi dalla profondità anche di 65-70 centimetri, le ruote di un eventuale veicolo...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (QUARTA PARTE)
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Clapham Junction
Come nel sito maltese Misrah Ghar Il-Kbir, anche nelle contrade Targia e Granatari Vecchi le cart ruts si intersecano e si incrociano in modo simile agli scambi dei binari in una stazione ferroviaria. Il soprannome Clapham Junction che è stato dato da David H. Trump al sito maltese, deriva proprio dalla somiglianza con la nota stazione ferroviaria inglese. Per la Sagona si tratta di solchi agricoli e canali d’acqua, per Mottershead, Pearson e Schaefer si tratta di percorsi abbandonati per via di ostacoli e usura. Non sappiamo ovviamente quale fosse la morfologia del territorio siracusano e rosolinese ai tempi in cui furono tracciate le cart ruts, ma considerando il contesto attuale, di certo non ci sarebbe stato alcun motivo agricolo per realizzarle, data la presenza di terreni fertili, di fonti e corsi d’acqua dolce...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
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Considerazioni sulle tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer
Trovo tale studio estremamente interessante, anche se mi perplime quest’enfasi sulla perdita di durezza della roccia bagnata dato che Malta è fra i territori europei a maggior rischio di desertificazione (come lo è purtroppo anche la zona sud orientale della Sicilia). Non sappiamo esattamente che clima ci fosse a Malta durante la realizzazione delle cart ruts, dato che non sappiamo nemmeno con certezza a che epoca risalgano. In ogni caso, potrebbe essere comprensibile prendere il fattore umidità in forte considerazione, in relazione a un territorio costantemente soggetto a precipitazioni, ma per quale motivo gli antichi maltesi avrebbero dovuto intensamente fare viaggi con carri carichi proprio dopo un acquazzone, con tutti i disagi che per esempio il fango avrebbe...