UN MIO CAVALLO DI BATTAGLIA: GLI ARANCINI AI FUNGHI!
Fonte Foto: Antonino Rampulla
Immagino si sia capito che noi dell’Agricamping Sophia con gli arancini siamo proprio fissati… Vi do quindi
la ricetta di un mio cavallo di battaglia in cucina, che preparo soprattutto in presenza di tanti commensali: gli arancini ai funghi!
A mio modestissimo parere, il modo più elegante e gustoso di cuocere il riso è a risotto: per fare degli ottimi arancini ai funghi è necessario cucinare un ottimo risotto ai funghi. Per prima cosa bisogna quindi fare un saporitissimo brodo con i funghi. In Sicilia, a meno di non trovarsi sull’Etna o sui Nebrodi in determinati periodi, non è semplicissimo procurarsi dei funghi, magari porcini, freschi, quindi mi devo spesso accontentare dei più “semplici” champignon (che comunque mi piacciono molto) e dei pleurotus. Entrambi hanno il vantaggio di non rovinarsi più di tanto se puliti sotto acqua corrente. Per il brodo potete anche utilizzare i più economici pleurotus. Generalmente immergo mezzo chilo di pleurotus in circa 3-4 litri d’acqua in ebollizione (che in parte evaporerà) per circa 20-30 minuti, a fiamma relativamente bassa, cioè alta tanto quanto basta a mantenere al minimo l’ebollizione. Io sono un “purista”: se faccio un risotto ai funghi voglio che sappia solo di funghi, quindi faccio un brodo di soli funghi, senza nient’altro che possa imbastardirne il sapore. Non salo mai il brodo: preferisco salare dopo il riso via via che lo sto cuocendo. Nel frattempo che faccio il brodo, taglio longitudinalmente a fettine mezzo chilo di champignon e li trifolo in un soffritto di aglio a fiamma bassa. Per il soffritto d’aglio utilizzo due o tre spicchi d’aglio, li taglio a metà, tolgo l’animella centrale e li soffriggo a fiamma bassissima in poco olio d’oliva, in una padella di media grandezza, avendo cura di non bruciare l’aglio e di toglierlo prima di mettere i funghi. Metto da parte gli champignon trifolati (sì, lo so, manca il prezzemolo che aggiungerò dopo direttamente nel risotto) e mi armo di un bel padellone salta pasta o da paella, lo poggio nel fornello più grande che accendo a fiamma alta. Dopo un minuto verso sulla padella calda mezzo chilo di riso da risotto, come il carnaroli o il roma (il parboiled, ad esempio, non va bene perché non rilascia quella determinata quantità di amido che mi serve dopo come “collante” per gli arancini), e lo tosto lievemente per un paio di minuti, girando continuamente con un mestolo in legno e avendo assolutamente cura di non bruciarlo: meglio un riso poco tostato che bruciato… La tostatura è essenziale per mantenere la consistenza del riso durante la cottura, in modo da mantenersi più facilmente al dente. A tostatura avvenuta, abbasso un po’ la fiamma e comincio ad aggiungere a poco a poco il brodo a filo con il riso, regolando via via di sale, fino a quando non sarà cotto. Il mio consiglio è di affidarvi al primo tempo di cottura indicato sulla confezione (generalmente per il riso viene indicato un range e non un tempo preciso come per la pasta), che si riferisce di solito alla cottura al dente. A cottura ultimata abbasso al minimo la fiamma, manteco con 20-25 grammi di burro e, avendo cura man mano di assaggiare al fine di ottenere il sapore che più mi aggrada, regolo con grana o parmigiano o formaggio assimilabile grattugiato. Si tratta di un tipo di formaggio che generalmente funziona meglio con i funghi rispetto a un più “deciso” pecorino siciliano stagionato. Spengo la fiamma quando il risotto risulta cremoso e ben amalgamato. Verso il risotto in una ciotola (meglio in acciaio). Aggiungo i funghi trifolati, spolvero con del prezzemolo tritato (con tagliere e coltello…), un po’ di pepe e mescolo. Faccio raffreddare e lo metto in frigorifero. Di solito faccio sempre il risotto un giorno prima di fare gli arancini.
Il giorno successivo preparo una ciotola con almeno 6 uova sbattute, una ciotola con abbondante pangrattato, una ciotola con del formaggio tipo provola ragusana tagliato a cubetti di un cm³ (una quarantina di cubetti possono andar bene) e di una teglia dove riporre gli arancini prima della frittura. Con la mano a conca prendo un po’ di risotto, con l’altra mano lo compatto molto dolcemente sul palmo della mano (sempre tenuta a conca), senza schiacciarlo troppo. Con la mano libera prendo un paio di cubetti di provola, li metto al centro del risotto contenuto dall’altra mano e li avvolgo con quel risotto che modello fino a ottenere una pallina. Le palline non devono essere molto grosse: un arancino più piccolo risulta più equilibrato nei sapori e nelle sensazioni “tattili” (croccante, asciutto, umido, soffice) al morso, e più facile da gestire durante la frittura. Adagio questa pallina di risotto nella ciotola col pangrattato ricoprendola tutta, la immergo nella ciotola con le uova sbattute, la riprendo delicatamente, faccio scolare un po’ di uova in eccesso e ripeto l’operazione del pangrattato, in modo da ottenere una doppia impanatura. In questo modo sfrutto l’amido del risotto, come collante, nel primo passaggio di pangrattato, minimizzando l’impatto del sapore dell’uovo (nel complesso poi quasi impercettibile) che utilizzo per la seconda impanatura. Con mezzo chilo di riso, si ottengono tra i 15 e i 20 arancini. Importante: tra la preparazione di un arancino e l’altro bisogna sciacquarsi le mani, altrimenti si contamina il risotto con le uova e il pangrattato e ad un certo punto ci si ritrova le mani così impastate da non riuscire più a proseguire.
Intanto ho acceso la friggitrice a 160-170 gradi (si può friggere anche in una pentola, certamente, ma è più pericoloso) e verso tanto olio di arachidi quanto è necessario a ricoprire interamente gli arancini nel cestello. La temperatura non dev’essere più alta, altrimenti si rischia di bruciarli esternamente e di non far fondere il formaggio internamente. Gli arancini sano pronti quando l’impanatura risulta dorata e solidificata. Se cuociono troppo, gli arancini potrebbero spaccarsi, far fuoriuscire il formaggio fuso e impregnarsi di olio fritto. Gli arancini pronti li metto in una teglia con della carta assorbente, in modo da assorbire l’olio in eccesso, avendo cura di servirli al più presto possibile, ancora bollenti. Spero di essere stato il più possibile esaustivo. Eventualmente, per chiarimenti, potete contattarmi tramite il sito o sulla pagina facebook.Fonte Testo: Antonino Rampulla
ARCHIVIO NEWS
CART RUTS MODELLATE SU ROCCIA MORBIDA?
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Alcune cart ruts di contrada Targia, a Siracusa, e la maggior parte delle cart ruts di Granatari Vecchi, a Rosolini, danno l’impressione di essere state impresse, modellate, su una roccia all’origine viscosa, non del tutto solida. Per quanto assurda possa sembrare quest’ipotesi, in particolare a Granatari Vecchi, la morbidezza delle forme e l’uniformità quanto meno anomala del banco roccioso, come se si trattasse di una gettata di cemento, che ospita le cart ruts, è un unicum rispetto al contesto litico in zona.
A Targia tale fenomeno è meno impressionante ma se si considerano le cart ruts essenzialmente carraie, quindi strade solcate derivanti indirettamente dal passaggio ripetuto dei carri lungo il medesimo tragitto, non si comprende il motivo per cui tale uniformità e levigazione sia presente, nella maggior parte...
CREMAGLIERA O ALLOGGIAMENTO PER GLI ZOCCOLI?
Torna a CART RUTS TRANCIATE DA CAVE D’ESTRAZIONE
In presenza di pendenze, anche leggere, in alcune cart ruts in contrada Targia, a Siracusa, si rilevano dei fori centrali dal diametro tra 30 e 50 centimetri e dalla profondità di 15-20 centimetri, distanti tra loro circa 50 centimetri. Non appare perfettamente regolare né la posizione (non sono esattamente al centro della carraia e perfettamente allineati tra loro), né la forma: o lo scorrere del tempo e l’eventuale usura ne hanno modificato profondamente l’originaria forma o, semplicemente, non hanno mai avuto una sistematica regolarità. Tuttavia lo sfalsamento di posizione tra un foro è l’altro, non è mai completamente “fuori asse”: c’è sempre una porzione larga una ventina di centimetri che coincide con la medesima porzione del foro precedente e susseguente. I fori meglio conservati e più definiti si...
CART RUTS TRANCIATE DA CAVE D’ESTRAZIONE
Torna a CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO
Salto ogni preambolo, rimandando a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.
La facile tendenza accademica è stata, nella maggior parte dei casi riguardanti le cart ruts, quella di considerarle in funzione delle latomie, ossia delle cave, con le quali molto spesso (ad esempio nei casi di contrada Targia o contrada Pizzuta) condividono lo stesso territorio.
Secondo tale tesi, le carraie si sarebbero indirettamente create a causa dell’usura della roccia a ogni passaggio di carri o slitte cariche di blocchi di pietra estratti. Non riprendo le argomentazioni fin qui esposte al fine di dimostrare che si tratta di una tesi che a un’analisi approfondita delle cart ruts ha fondamenta poco solide. Tuttavia aggiungo un tassello dimostrando la non plausibilità di una loro connessione in termini...
CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO
Leggi anche LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Vagliando la possibilità che le cart ruts siano state gradualmente scavate dal passaggio di carri trainati da animali da soma, ad esempio coppie di buoi, osservando determinati tratti delle cart ruts presenti in contrada Granatari Vecchi, a Rosolini, e in contrada Pizzuta, a ridosso della Riserva di Vendicari, sorgono due domande:
1. Perché costringere gli animali a passare su asperità e sporgenze alte, rispetto alla base dei solchi, anche 60-70 centimetri?
2. Perché, alla presenza di tali ostacoli, non optare per una deviazione?
Per Mottershead, Pearson e Schaefer tali sporgenze si sono manifestate a posteriori, poiché ai tempi dei passaggi dei carri, uno strato di terra ricopriva il banco roccioso, non...
LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
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Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.
Per procedere a questo paragone ho scelto un probabile capitello e l’angolo di un incavo presente in un blocco delle mura nord di Eloro che parrebbe somigliare a un pinax, cioè a una nicchia che avrebbe ospitato un affresco degli heroa, ma che un’osservazione più accorta rimanda a un sistema funzionale alla presa del blocco tramite un argano a pinza. Entrambi gli elementi sono, come le curt ruts, rimasti per millenni in balia delle intemperie, soggetti quindi a un paragonabile logorio dovuto al passare del tempo. La rifinitura del capitello dovrebbe essere di alto livello, poiché elemento architettonico avente funzione anche estetica. L’incavo, invece, avrebbe dovuto esigere solo una rifinitura...
I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Come riscontrabile anche in altri siti nel mondo, in alcune cart ruts da me visitate, in particolare in contrada Cugni a Pachino, in contrada Granati Vecchi a Rosolini e in contrada Targia a Siracusa, si rileva una netta bordatura, una sorta di cornice, a fianco ai solchi, maggiormente marcata esternamente, appena accennata internamente.
Le bordature da me misurate hanno una larghezza di 14-20 centimetri e un’altezza di 8-10 centimetri.
Non in tutte le cart ruts tali cornici sono presenti o particolarmente evidenti, a prescindere dal grado di usura o degrado. Si riscontrano soprattutto nelle cart ruts dai solchi meno profondi.
Come già ampiamente descritto, data la presenza di solchi dalla profondità anche di 65-70 centimetri, le ruote di un eventuale veicolo...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (QUARTA PARTE)
Clicca qui per tornare alla terza parte
Clapham Junction
Come nel sito maltese Misrah Ghar Il-Kbir, anche nelle contrade Targia e Granatari Vecchi le cart ruts si intersecano e si incrociano in modo simile agli scambi dei binari in una stazione ferroviaria. Il soprannome Clapham Junction che è stato dato da David H. Trump al sito maltese, deriva proprio dalla somiglianza con la nota stazione ferroviaria inglese. Per la Sagona si tratta di solchi agricoli e canali d’acqua, per Mottershead, Pearson e Schaefer si tratta di percorsi abbandonati per via di ostacoli e usura. Non sappiamo ovviamente quale fosse la morfologia del territorio siracusano e rosolinese ai tempi in cui furono tracciate le cart ruts, ma considerando il contesto attuale, di certo non ci sarebbe stato alcun motivo agricolo per realizzarle, data la presenza di terreni fertili, di fonti e corsi d’acqua dolce...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
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Considerazioni sulle tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer
Trovo tale studio estremamente interessante, anche se mi perplime quest’enfasi sulla perdita di durezza della roccia bagnata dato che Malta è fra i territori europei a maggior rischio di desertificazione (come lo è purtroppo anche la zona sud orientale della Sicilia). Non sappiamo esattamente che clima ci fosse a Malta durante la realizzazione delle cart ruts, dato che non sappiamo nemmeno con certezza a che epoca risalgano. In ogni caso, potrebbe essere comprensibile prendere il fattore umidità in forte considerazione, in relazione a un territorio costantemente soggetto a precipitazioni, ma per quale motivo gli antichi maltesi avrebbero dovuto intensamente fare viaggi con carri carichi proprio dopo un acquazzone, con tutti i disagi che per esempio il fango avrebbe...