In matematica si definisce assioma un principio che si ritiene vero per evidenza. In altre parole tale
verità non ha necessità d’essere dimostrata. In termini religiosi vi si dovrebbe credere per
fede. Ad esempio, sull’evidenza che per due punti passi una sola retta si è costruita la geometria euclidea che fino in epoca moderna si è ritenuta l’unica geometria possibile.
Affermare
Prima i siciliani! presuppone che esista una definita e identificabile
sicilianità, che
non può ridursi al solo nascere o abitare in Sicilia, altrimenti mio fratello, che si è da poco trasferito a Milano, non sarebbe più
siciliano o rischierebbe di perdere, dopo un dato periodo (che nessuno studio scientifico ha ancora determinato…), tale status. Occorre quindi capire quale sia l’
assioma che dà il via alla costruzione della
sicilianità.
È ampiamente smentito che la genetica possa venirci in aiuto.
Occorre quindi percorre un’altra strada per la determinazione della
sicilianità: proviamo tramite un approccio storico, cercando di identificare il ceppo più puro e originario di siciliani.
Chi erano quindi gli autentici siciliani?
Erano gli autoctoni “preellenici” e “prefenici”? Ossia le popolazioni
sicule,
sicane e
elime che abitarono l’isola fino al V secolo a.C., coesistendo con le più avanzate colonie greche e fenicie prima di esserne completamente assimilate?
O forse l’incipit della
sicilianità è stato dato dalle secolari dominazioni/colonizzazioni “straniere”. Tuttavia, almeno inizialmente, i
greci (che invasero/colonizzarono la parte orientale dell’isola, fondando ad esempio Siracusa) e i
fenici (ossia la civiltà
cananea insediata lungo la costa mediterranea compresa tra gli attuali Stati di Siria e Israele, che colonizzarono/invasero il lato occidentale della Sicilia, fondando ad esempio Palermo) non erano considerabili più
siciliani delle popolazioni autoctone. Ad un certo punto della storia però dovrebbero esserlo diventati (altrimenti, sparite come entità amministrative le popolazioni sicule, sicane ed elime, la sicilianità si sarebbe estinta con loro e oggi staremmo qui a parlare d’altro…), così come i successivi romani, bizantini, islamici, normanni, aragonesi, asburgici e borbonici, che per secoli hanno abitato l’isola siciliana.
Una popolazione colonizzatrice acquista forse la
sicilianità dopo almeno un secolo di abitazione dell’isola? Se così fosse, eruli, ostrogoti, svevi, angioini, piemontesi (che per un breve periodo misero le mani sulla Sicilia già un secolo prima della definitiva “annessione” tramite la
Spedizione dei mille) e austriaci (o meglio, nuovamente gli Asburgo, anche se di un altro ramo familiare), col loro relativamente breve ma fondamentale passaggio sarebbero rimasti fuori dall’acquisizione della
sicilianità. Quindi Federico II, nonostante si considerasse siciliano, realmente non lo sarebbe stato.
Permettetemi una breve disgressione: a rileggere tutti i nomi delle culture “colonizzatrici” della Sicilia
si comprendere bene il motivo per cui certi siciliani assomiglino più a quei tedeschi sbarcati dalle navi da crociera a Messina (mi riferisco proprio a quelli in maglietta e pantaloncini anche a dicembre…), piuttosto che al classico topos basso, di carnagione scura, con la
scuzzetta e i baffoni scuri.
Tornando alla nostra analisi storica, tra i “siciliani” più famosi di sempre c’è il già citato
stupor mundi Federico II! Storicamente ritenuto tra i più innovativi sovrani europei della storia, cresciuto e educato in Sicilia da precettori cristiani e islamici, inviso ai papi dell’epoca per la sua visione laica della politica e per l’apertura nei confronti dei siciliani islamici (che gli valse anche il soprannome di
sultano cristiano e qualche scomunica),
rese Palermo la più fiorente e stimolante corte europea del XIII secolo. Si poteva considerare siciliano? Federico II, in seguito anche imperatore del Sacro Romano Impero, apparteneva alla nobile famiglia
sveva (ossia tedesca…) degli Hohenstaufen. Da parte di madre invece discendeva dai normanni (popolazione d’origine danese e norvegese…) di Altavilla (Hauteville, in Francia…)
Eppure si riteneva più siciliano che altro, tanto da decidere di tenere separate le due corone.
A meno di non scontentare addirittura un imperatore, si può affermare che la
sicilianità attenga più alla condivisione di determinati valori (politici, religiosi, culinari…) che a un’appartenenza genetica o storica. Ma quali valori? In Sicilia c’è stato tutto e il contrario di tutto: dal politeismo, all’islam, al cristianesimo greco e romano; dalla democrazia, alla tirannia, al feudalesimo, dalla
cuccìa alla cassata, all’arancino/a…
La sicilianità è frutto di un processo di commistione tra le culture di quasi tutto il Mediterraneo e buona parte d’Europa, cominciata millenni fa. Ne è derivato una sorta di sincretismo evidente non solo nella lingua (che ospita termini ed espressioni derivanti da tutte le culture colonizzatrici) ma anche nell’architettura dei monumenti: in Sicilia ci ritroviamo ad esempio con ville romane o chiese bizantine costruite sulle fondamenta di strutture greche; e moschee o templi greci incastonati nelle cattedrali.
Sicilianità può significare tutto e nulla. Poiché
la storia della Sicilia è l’emblema della storia dell’umanità, da sempre caratterizzata da spostamenti e migrazioni per i motivi più disparati. La ricchezza della cultura siciliana (o meglio, della cultura che in Sicilia è stata generata) è frutto di una sorta di
melting pot , non certamente di un isolamento identitario.
Dire sicilianità è dire umanità.
Il problema (secondo il mio modestissimo parere) nasce quando
si assume implicitamente la sicilianità (o l’italianità…) come ideologia. In altre parole, quando si considera l’
esserci del
siciliano come evidente, per il quale quindi non occorre alcuna dimostrazione: il siciliano, semplicemente, c’è.
In quest’ottica, affermare
prima i siciliani presuppone che vi siano dei
non-siciliani: se l’
assunto è considerato
vero dalla comunità (in questo caso) dei siciliani,
la non-sicilianità è una conseguenza logica che non serve argomentare. Citando Hannah Arendt (perdonate se scelgo di omettere il testo da cui cito, ma l’eloquenza del titolo offenderebbe la vostra intelligenza)
il pensiero ideologico diventa indipendente da ogni esperienza: in altre parole, non ha importanza dimostrare l’
inconsistenza storica, culturale e genetica del concetto di sicilianità in quanto definito e chiaramente determinato. Poiché se lo scopo è giustificare politicamente il diritto all’egoistica esclusione della
non-sicilianità, qualunque dissenso sarà marchiato dalla
comunità come anti-sociale,
anti-siciliano, non-vero in quanto in contrasto con la “verità”, in contrasto con l’evidenza della
sicilianità.
CART RUTS MODELLATE SU ROCCIA MORBIDA?
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Alcune cart ruts di contrada Targia, a Siracusa, e la maggior parte delle cart ruts di Granatari Vecchi, a Rosolini, danno l’impressione di essere state impresse, modellate, su una roccia all’origine viscosa, non del tutto solida. Per quanto assurda possa sembrare quest’ipotesi, in particolare a Granatari Vecchi, la morbidezza delle forme e l’uniformità quanto meno anomala del banco roccioso, come se si trattasse di una gettata di cemento, che ospita le cart ruts, è un unicum rispetto al contesto litico in zona.
A Targia tale fenomeno è meno impressionante ma se si considerano le cart ruts essenzialmente carraie, quindi strade solcate derivanti indirettamente dal passaggio ripetuto dei carri lungo il medesimo tragitto, non si comprende il motivo per cui tale uniformità e levigazione sia presente, nella maggior parte...
CREMAGLIERA O ALLOGGIAMENTO PER GLI ZOCCOLI?
Torna a CART RUTS TRANCIATE DA CAVE D’ESTRAZIONE
In presenza di pendenze, anche leggere, in alcune cart ruts in contrada Targia, a Siracusa, si rilevano dei fori centrali dal diametro tra 30 e 50 centimetri e dalla profondità di 15-20 centimetri, distanti tra loro circa 50 centimetri. Non appare perfettamente regolare né la posizione (non sono esattamente al centro della carraia e perfettamente allineati tra loro), né la forma: o lo scorrere del tempo e l’eventuale usura ne hanno modificato profondamente l’originaria forma o, semplicemente, non hanno mai avuto una sistematica regolarità. Tuttavia lo sfalsamento di posizione tra un foro è l’altro, non è mai completamente “fuori asse”: c’è sempre una porzione larga una ventina di centimetri che coincide con la medesima porzione del foro precedente e susseguente. I fori meglio conservati e più definiti si...
CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO
Leggi anche LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Vagliando la possibilità che le cart ruts siano state gradualmente scavate dal passaggio di carri trainati da animali da soma, ad esempio coppie di buoi, osservando determinati tratti delle cart ruts presenti in contrada Granatari Vecchi, a Rosolini, e in contrada Pizzuta, a ridosso della Riserva di Vendicari, sorgono due domande:
1. Perché costringere gli animali a passare su asperità e sporgenze alte, rispetto alla base dei solchi, anche 60-70 centimetri?
2. Perché, alla presenza di tali ostacoli, non optare per una deviazione?
Per Mottershead, Pearson e Schaefer tali sporgenze si sono manifestate a posteriori, poiché ai tempi dei passaggi dei carri, uno strato di terra ricopriva il banco roccioso, non...
LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
Leggi anche I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.
Per procedere a questo paragone ho scelto un probabile capitello e l’angolo di un incavo presente in un blocco delle mura nord di Eloro che parrebbe somigliare a un pinax, cioè a una nicchia che avrebbe ospitato un affresco degli heroa, ma che un’osservazione più accorta rimanda a un sistema funzionale alla presa del blocco tramite un argano a pinza. Entrambi gli elementi sono, come le curt ruts, rimasti per millenni in balia delle intemperie, soggetti quindi a un paragonabile logorio dovuto al passare del tempo. La rifinitura del capitello dovrebbe essere di alto livello, poiché elemento architettonico avente funzione anche estetica. L’incavo, invece, avrebbe dovuto esigere solo una rifinitura...
I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Come riscontrabile anche in altri siti nel mondo, in alcune cart ruts da me visitate, in particolare in contrada Cugni a Pachino, in contrada Granati Vecchi a Rosolini e in contrada Targia a Siracusa, si rileva una netta bordatura, una sorta di cornice, a fianco ai solchi, maggiormente marcata esternamente, appena accennata internamente.
Le bordature da me misurate hanno una larghezza di 14-20 centimetri e un’altezza di 8-10 centimetri.
Non in tutte le cart ruts tali cornici sono presenti o particolarmente evidenti, a prescindere dal grado di usura o degrado. Si riscontrano soprattutto nelle cart ruts dai solchi meno profondi.
Come già ampiamente descritto, data la presenza di solchi dalla profondità anche di 65-70 centimetri, le ruote di un eventuale veicolo...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (QUARTA PARTE)
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Clapham Junction
Come nel sito maltese Misrah Ghar Il-Kbir, anche nelle contrade Targia e Granatari Vecchi le cart ruts si intersecano e si incrociano in modo simile agli scambi dei binari in una stazione ferroviaria. Il soprannome Clapham Junction che è stato dato da David H. Trump al sito maltese, deriva proprio dalla somiglianza con la nota stazione ferroviaria inglese. Per la Sagona si tratta di solchi agricoli e canali d’acqua, per Mottershead, Pearson e Schaefer si tratta di percorsi abbandonati per via di ostacoli e usura. Non sappiamo ovviamente quale fosse la morfologia del territorio siracusano e rosolinese ai tempi in cui furono tracciate le cart ruts, ma considerando il contesto attuale, di certo non ci sarebbe stato alcun motivo agricolo per realizzarle, data la presenza di terreni fertili, di fonti e corsi d’acqua dolce...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
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Considerazioni sulle tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer
Trovo tale studio estremamente interessante, anche se mi perplime quest’enfasi sulla perdita di durezza della roccia bagnata dato che Malta è fra i territori europei a maggior rischio di desertificazione (come lo è purtroppo anche la zona sud orientale della Sicilia). Non sappiamo esattamente che clima ci fosse a Malta durante la realizzazione delle cart ruts, dato che non sappiamo nemmeno con certezza a che epoca risalgano. In ogni caso, potrebbe essere comprensibile prendere il fattore umidità in forte considerazione, in relazione a un territorio costantemente soggetto a precipitazioni, ma per quale motivo gli antichi maltesi avrebbero dovuto intensamente fare viaggi con carri carichi proprio dopo un acquazzone, con tutti i disagi che per esempio il fango avrebbe...