IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (PRIMA PARTE)
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (PRIMA PARTE)
Fonte Foto: Antonino Rampulla
Chi sono

Rileggendo la bozza finale di quanto ho scritto, credo che questa volta sia opportuno spendere un paio di righe per presentarmi. Sono Antonino Rampulla, proprietario dell’agricampeggio il cui sito internet ospita questo blog, laureato in filosofia, con una crescente passione per l’archeologia, nata dalla curiosità per i siti archeologici di cui, in particolare, è ricca la Sicilia sud orientale. Certo della mia sostanziale ignoranza in materia, cerco di recuperare studiando nel tempo libero. Tuttavia, non di rado, mi capita di imbattermi in certezze storiche, accademicamente condivise, che fanno un po’ a pugni con ciò che la logica invece è sembrata suggerirmi dall’osservazione di alcuni particolari dei siti archeologici visitati. Quindi, semplicemente, mi faccio delle domande e, con piglio quanto più possibile scientifico, provo a cercare delle risposte. Il risultato è il pretesto per cercare informazioni, studiare e pubblicare in questo blog quanto mi è sembrato di capire.

Ipse dixit

Ho l’impressione che certa archeologia spesso si ritrovi a ripetere acriticamente l’ipse dixit di turno. Ad esempio, chi è vissuto tra Pantalica e Castelluccio di Noto qualche millennio fa, avrebbe abitato in capanne di legno, canne e paglia, ma forsennatamente avrebbe scavato migliaia di tombe nella roccia calcarea, con strumenti fondamentalmente preistorici.
A me è sempre sembrato un po’ strano che vivessero in capanne ma scavassero cimiteri nella roccia.
Di come e cosa pensassero le antiche popolazioni siciliane, data la scarsità di fonti al riguardo, sappiamo poco e nulla ma, ipotizzando che avessero problemi simili ai nostri, ad esempio l’esigenza di procacciarsi ciò che occorre per vivere dignitosamente, per quanto il culto dei morti possa essere stato importante, è come se noi oggi costruissimo lussuose ville con piscina per seppellire i defunti e piccole cappelle per viverci, con la differenza che per costruire entrambe le strutture occorrono più o meno le medesime conoscenze ingegneristiche.
Lo scavo di una grotta nella roccia calcarea degli Iblei, rispetto alla costruzione di una capanna, è evidente che concerna difficoltà differenti, sia tecnicamente, sia logisticamente. Noi oggi costruiamo in muratura perché ci viene relativamente facile. Con i mezzi di cui, secondo accademia, disponevano le antiche popolazioni siciliane, scavare nella roccia iblea, non doveva invece essere per nulla semplice (ad esempio, in relazione alla Scala di Mohs, la durezza degli strumenti di scavo e del materiale roccioso, sostanzialmente coincideva, il che non significa che non fosse possibile ma solo che fosse molto faticoso). Inoltre alcune delle migliaia di grotte delle necropoli di Pantalica, Cavagrande del Cassibile o Noto Antica sono in punti così impervi e difficili da raggiungere che non si comprende appieno il motivo di complicarsi ulteriormente la vita.
Da un punto di vista logico, potrebbe essere un po’ problematico attribuire alla Cultura di Castelluccio, ossia alla civiltà egemone nella Sicilia orientale pre-ellenica, la paternità di quelle necropoli. Tuttavia, se i riscontri archeologici ci dicono con certezza che vivessero in capanne, è possibile ipotizzare che abitassero in ciò che facilmente riuscivano a costruire, ma utilizzassero come tombe strutture preesistenti? In altre parole, o della Cultura di Castelluccio abbiamo le idee poco chiare, oppure quelle necropoli potrebbero essere state espressione di una cultura antecedente che disponeva di mezzi tecnici evidentemente più efficaci, plausibilmente costruite per un diverso scopo, poi riutilizzate dai Castellucciani in chiave sepolcrale?
Tra l’altro, l’idea che qualunque buco scavato nella roccia o qualunque monumento di cui non si conosca esattamente la funzione, sia stato fatto a scopo funebre, anche quando non sembra che vi siano prove così schiaccianti a dimostrarlo, mi sembra un preconcetto che mette d’accordo un po’ tutte le coscienze accademiche, ma scientificamente deboluccio.
Ciò non significa che in mezzo a migliaia di ambienti scavati nella roccia, qualcuno non sia stato progettato propriamente come tomba, magari di un capo o di una personalità di rilievo: ma cinquemila tombe , per chi abitava in capanne, magari anche scavate un po’ alla volta, in periodi molto distanti tra loro, non sembrano comunque un po’ eccessive?
Inoltre, vagliando la possibilità che quelle grotte artificiali le abbiano trovate già scavate, perché non le hanno utilizzate per scopi diversi dal farne solo tombe?
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Più culture succedutesi nel medesimo luogo

Mi sono convinto che la chiave ermeneutica per addentrarsi nell’archeologia della Sicilia sud orientale, consista nel tenere sempre in considerazione la potenziale sovrapposizione, nello stesso sito, di culture diverse succedutesi nel tempo le quali, ritrovandosi già con strutture o semplici elementi costruttivi preesistenti, li possano aver riutilizzati per i loro fini.
Ad esempio, la greca Megara Iblea probabilmente insiste su una precedente città sicula; a Noto Antica coesistono strutture sicule/castellucciane, greche, romane, arabe, bizantine, normanne e aragonesi; la cattedrale di Siracusa è stata prima un tempio greco, poi una chiesa, poi una moschea, poi nuovamente una chiesa, assumendo di volta in volta elementi architettonici tipici; Villa Romana del Tellaro è stata scovata sotto un baglio settecentesco e ha una probabile base greca, così come il baglio settecentesco di San Lorenzo Vecchio è stato costruito su un’evidente struttura greca e contiene anche elementi bizantini.
In altre parole, le certezze storiche degradano man mano che ci si sposta indietro nel tempo: possiamo certamente distinguere in modo netto gli elementi romani da quelli greci ma basta osservare siti come Castelluccio di Noto o Noto Antica (in particolare il sito castellucciano extraurbano) per rendersi conto della perizia con la quale i Castellucciani lavoravano la roccia e chiedersi se i blocchi di una data costruzione siano tutti stati estratti dai greci.

Scala greche e cart ruts

Leggo che a Siracusa Nord, in contrada Targia, si trova una Scala Greca che condurrebbe alla porta nord dell’antica polis Siracusa, chiamata con appellativo di omerica memoria, Porta Scea: si tratta di una tipica cart ruts che, per incontestabile ipse dixit, sarebbe stata tracciata dallo scorrere dei carri greci, dotata di fori centrali provocati dal calpestio degli zoccoli degli animali da soma…
E siccome 200 metri a est, verso il mare, ci sono altre cart ruts (che nulla hanno da invidiare a quelle del più famoso sito maltese soprannominato Clapham Junction), ci sono delle latomie (ossia cave di pietra, dal greco las, pietra, e tomíai, tagliata) e le Mura Dionigiane, allora quei solchi non possono che essere il risultato del passaggio dei carri greci che trasportavano dalle cave i blocchi per costruire le mura. Caso chiuso?
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Latomie e blocchi estratti

Nell’VIII secolo a.C. in Sicilia iniziarono a giungere i primi coloni greci, i quali, dopo essersi “accordati” con le popolazioni autoctone, cominciarono a edificare le prime polis siceliote come Siracusa, Naxos, Zancle, Katane o Megara Iblea. Estrassero quindi grandi quantità di blocchi di roccia, in larga parte calcarenite e arenaria, in prossimità dei cantieri di costruzione al fine di ottimizzare le energie necessarie al trasporto. Procedevano tracciando il perimetro del blocco da estrarre e, con mazzetta e scalpello, vi scavavano attorno un solco largo 10-12 centimetri, in cui avrebbero incuneato dei travetti in legno secco che avrebbero bagnato con acqua per provocarne il rigonfiamento che avrebbe infine distaccato il blocco dalla base.
Le latomie nella zona della Riserva di Vendicari, ossia tra contrada Pizzuta e contrada San Lorenzo, hanno un facile riferimento nei siti archeologici di Cittadella Maccari ed Eloro. I blocchi di arenaria che formano le mura nord di Eloro, prima sub-colonia di Siracusa, esaminati a campione, hanno misure di 45-65 centimetri per il lato corto, 115-135 centimetri per il lato lungo e 35-45 centimetri per l’altezza.
Nella vicina contrada Pizzuta, dalla valutazione di alcune delle sagome dei blocchi estratti e di alcuni blocchi solo parzialmente estratti, nelle numerose cave presenti, si ricavano misure tra i 50-80 centimetri per il lato corto, 130-180 centimetri per il lato lungo e 50 centimetri per l’altezza. Considerando anche lo spessore dei solchi d’estrazione (ossia 10-12 centimetri) e l’eventuale sbozzamento per alleggerirne il peso (al fine di facilitarne il trasporto), dovette trattarsi di blocchi dalle misure coerenti con quelli che oggi costituiscono le mura nord di Eloro.
Più a sud, in prossimità di Cittadella Maccari ho riscontrato la presenza di latomie che presentano alcune tracce d’estrazione misuranti 40-45 centimetri per il lato corto, 100-110 centimetri per il lato lungo, 30 centimetri per l’altezza; altre 70-80 centimetri per il lato corto, 140-150 centimetri per il lato lungo e 30-40 centimetri per l’altezza. A Cittadella Maccari ho rilevato la presenza di blocchi più piccoli, utilizzati specialmente per la pavimentazione, misuranti 30 centimetri per il lato corto, 50 centimetri per il lato lungo, 20 centimetri per l’altezza; e blocchi più grandi con misure di 40-50 centimetri per il lato corto, 100 per il lato lungo, 30 centimetri per l’altezza. Anche in questo caso, si tratta di blocchi coerenti con le sagome d’estrazione delle cave più vicine.
Sembra evidente che i sicelioti avessero una mentalità molto pratica, volta all’ottimizzazione, alla razionalizzazione del lavoro: se dovevano alzare delle mura a Eloro, non andavano a cavare blocchi a Marzamemi… E probabilmente, se avessero trovato materiale etile già pronto per l’uso, lo avrebbero certamente utilizzato.

Il blocco siceliota

A Megara Iblea le misure medie dei blocchi utilizzati (misurati sempre, ovviamente, a campione) vanno dai 55-80 centimetri per il lato corto, ai 130-150 centimetri per il lato lungo, ai 25-40 centimetri per l’altezza. In contrada Targia a Siracusa, le sagome d’estrazione misurano in media 70 centimetri per il lato corto, 140 centimetri per il lato lungo e 40 centimetri per l’altezza.
Con una buona approssimazione, si possono quindi considerare come misure medie dei blocchi estratti dai Sicelioti, 60 centimetri per il lato corto, 130 per il lato lungo e 30 centimetri per l’altezza. Nella zona di Vendicari, le cave prevalenti sono di arenaria; a Targia e in altre cave più interne, verso gli Iblei, sono soprattutto di calcarenite. Quindi il peso medio di ogni blocco estratto si aggira tra i 500 e i 600 chilogrammi.
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Il trasporto

Estratti i blocchi dalle cave, occorreva quindi trasportarli nei cantieri ai quali erano destinati, quindi mediante argani azionati da forza umana o animale, venivano normalmente spostati sul piano di carico di carri o slitte. Il principio fisico degli argani era assimilabile a quello delle moderne gru: dotati di sistemi più o meno complessi di carrucole, frazionavano la forza necessaria al sollevamento dei blocchi. Di certo riuscivano a sollevare tranquillamente 500-600 chilogrammi. Considerando la posizione di alcune cave in contrada Pizzuta, scavate nelle asperità della scogliera, così come a Marzamemi le quali, tra l’altro, oggi si ritrovano sotto un metro e mezzo d’acqua, dubito fortemente che lì quei blocchi potessero essere fatti scorrere, come in ambiente accademico suggerito, su assi in legno, a mo’ di lizzatura, per raggiungere il carro che li avrebbe trasportati al cantiere. In ogni caso, in qualche modo in questo cantiere dovevano pur arrivarci e, a meno che il trasporto non avvenisse via mare (sistema che avrebbe solo “abbreviato” il problema del trasporto via terra), l’operazione doveva più o meno consistere nel sollevare con un argano il blocco estratto dalla cava, porlo su un sistema di spostamento in grado di muoversi agevolmente sul banco frastagliato della scogliera e, in prossimità del carro già posizionato sul percorso ordinario per il cantiere, porlo, realisticamente con un secondo argano, sul piano di carico del carro.
Vitruvio racconta nel De Architectura che questi lavori erano regolarmente eseguiti da maestranze qualificate, organizzate in vere e proprie imprese edili del tempo (dette officine) specializzate nella costruzione di opere di un certo calibro (come templi e mura).

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Fonte Testo: Antonino Rampulla
ARCHIVIO NEWS
CART RUTS TRANCIATE DA CAVE D’ESTRAZIONE CART RUTS TRANCIATE DA CAVE D’ESTRAZIONE
Torna a CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO Salto ogni preambolo, rimandando a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale. La facile tendenza accademica è stata, nella maggior parte dei casi riguardanti le cart ruts, quella di considerarle in funzione delle latomie, ossia delle cave, con le quali molto spesso (ad esempio nei casi di contrada Targia o contrada Pizzuta) condividono lo stesso territorio. Secondo tale tesi, le carraie si sarebbero indirettamente create a causa dell’usura della roccia a ogni passaggio di carri o slitte cariche di blocchi di pietra estratti. Non riprendo le argomentazioni fin qui esposte al fine di dimostrare che si tratta di una tesi che a un’analisi approfondita delle cart ruts ha fondamenta poco solide. Tuttavia aggiungo un tassello dimostrando la non plausibilità di una loro connessione in termini...
CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO CART RUTS E QUALCHE SPORGENZA DI TROPPO
Leggi anche LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Vagliando la possibilità che le cart ruts siano state gradualmente scavate dal passaggio di carri trainati da animali da soma, ad esempio coppie di buoi, osservando determinati tratti delle cart ruts presenti in contrada Granatari Vecchi, a Rosolini, e in contrada Pizzuta, a ridosso della Riserva di Vendicari, sorgono due domande: 1. Perché costringere gli animali a passare su asperità e sporgenze alte, rispetto alla base dei solchi, anche 60-70 centimetri? 2. Perché, alla presenza di tali ostacoli, non optare per una deviazione? Per Mottershead, Pearson e Schaefer tali sporgenze si sono manifestate a posteriori, poiché ai tempi dei passaggi dei carri, uno strato di terra ricopriva il banco roccioso, non...
LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS LA LEVIGATURA DELLE CART RUTS
Leggi anche I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale. Per procedere a questo paragone ho scelto un probabile capitello e l’angolo di un incavo presente in un blocco delle mura nord di Eloro che parrebbe somigliare a un pinax, cioè a una nicchia che avrebbe ospitato un affresco degli heroa, ma che un’osservazione più accorta rimanda a un sistema funzionale alla presa del blocco tramite un argano a pinza. Entrambi gli elementi sono, come le curt ruts, rimasti per millenni in balia delle intemperie, soggetti quindi a un paragonabile logorio dovuto al passare del tempo. La rifinitura del capitello dovrebbe essere di alto livello, poiché elemento architettonico avente funzione anche estetica. L’incavo, invece, avrebbe dovuto esigere solo una rifinitura...
I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS I PROBLEMATICI BORDI DEI SOLCHI DELLE CART RUTS
Salto ogni preambolo, rimandando a a quanto già scritto in merito alla presenza di cart ruts nella Sicilia sud orientale.Come riscontrabile anche in altri siti nel mondo, in alcune cart ruts da me visitate, in particolare in contrada Cugni a Pachino, in contrada Granati Vecchi a Rosolini e in contrada Targia a Siracusa, si rileva una netta bordatura, una sorta di cornice, a fianco ai solchi, maggiormente marcata esternamente, appena accennata internamente. Le bordature da me misurate hanno una larghezza di 14-20 centimetri e un’altezza di 8-10 centimetri. Non in tutte le cart ruts tali cornici sono presenti o particolarmente evidenti, a prescindere dal grado di usura o degrado. Si riscontrano soprattutto nelle cart ruts dai solchi meno profondi. Come già ampiamente descritto, data la presenza di solchi dalla profondità anche di 65-70 centimetri, le ruote di un eventuale veicolo...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (QUARTA PARTE) IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (QUARTA PARTE)
Clicca qui per tornare alla terza parte Clapham Junction Come nel sito maltese Misrah Ghar Il-Kbir, anche nelle contrade Targia e Granatari Vecchi le cart ruts si intersecano e si incrociano in modo simile agli scambi dei binari in una stazione ferroviaria. Il soprannome Clapham Junction che è stato dato da David H. Trump al sito maltese, deriva proprio dalla somiglianza con la nota stazione ferroviaria inglese. Per la Sagona si tratta di solchi agricoli e canali d’acqua, per Mottershead, Pearson e Schaefer si tratta di percorsi abbandonati per via di ostacoli e usura. Non sappiamo ovviamente quale fosse la morfologia del territorio siracusano e rosolinese ai tempi in cui furono tracciate le cart ruts, ma considerando il contesto attuale, di certo non ci sarebbe stato alcun motivo agricolo per realizzarle, data la presenza di terreni fertili, di fonti e corsi d’acqua dolce...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE) IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
Clicca qui per tornare alla SECONDA PARTE Considerazioni sulle tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer Trovo tale studio estremamente interessante, anche se mi perplime quest’enfasi sulla perdita di durezza della roccia bagnata dato che Malta è fra i territori europei a maggior rischio di desertificazione (come lo è purtroppo anche la zona sud orientale della Sicilia). Non sappiamo esattamente che clima ci fosse a Malta durante la realizzazione delle cart ruts, dato che non sappiamo nemmeno con certezza a che epoca risalgano. In ogni caso, potrebbe essere comprensibile prendere il fattore umidità in forte considerazione, in relazione a un territorio costantemente soggetto a precipitazioni, ma per quale motivo gli antichi maltesi avrebbero dovuto intensamente fare viaggi con carri carichi proprio dopo un acquazzone, con tutti i disagi che per esempio il fango avrebbe...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (SECONDA PARTE) IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (SECONDA PARTE)
Clicca qui per tornare alla PRIMA PARTE Il carro greco In relazione alle fedeli ricostruzioni degli strumenti utilizzati all’epoca, recentemente fatte a Selinunte e nella Valle dei Templi, e al confronto con lo Studio di un Carro Romano di Paola Miniero, gli assi dei carri greci dell’epoca non dovevano essere più alti di mezzo metro dal terreno e lo scartamento (ossia la distanza tra una ruota e l’altra) doveva misurare tra i 140 e i 150 centimetri. Dovevano plausibilmente essere trainati almeno da una coppia di animali da soma (come rappresentato nelle numerose testimonianze numismatiche e artistiche giunteci) e avere ruote in legno ma ferrate. Altro riferimento per stimarne lo scartamento è la larghezza di due buoi affiancati: la larghezza di un bue è circa 70-80 centimetri, quindi lo scartamento minimo tra una ruota e l’altra, per mantenere una determinata...
SE VI RAGGIUNGO A PIEDI, COME MI SPOSTO? SE VI RAGGIUNGO A PIEDI, COME MI SPOSTO?
Il Comune di Noto è il quarto comune più esteso d’Italia. Per antico retaggio, conserva un territorio di 555 km quadrati per poco meno di 25000 abitanti. Solo per curiosità statistica, rileviamo che il Comune di Noto abbia una densità abitativa di 45 abitanti per chilometro quadrato, quindi ben al di sotto della media italiana (196 abitanti per chilometro quadrato) e di quella europea (115 abitanti per chilometro quadrato). E sempre per la medesima curiosità, notiamo anche come i Comuni italiani dotati di una simile estensione territoriale, abbiano tutti un cospicuo maggior numero di abitanti. Marzamemi, l’ormai turisticamente ambito paesino marinaro a ridosso di Pachino, si ritrova amministrativamente scisso tra il Comune di Noto e il Comune di Pachino. Alcune abitazioni si ritrovano ad avere delle stanze nel Comune di Noto, altre nel Comune di Pachino… Non a caso, in...