IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (SECONDA PARTE)
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (SECONDA PARTE)
Fonte Foto: Antonino Rampulla
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Il carro greco

In relazione alle fedeli ricostruzioni degli strumenti utilizzati all’epoca, recentemente fatte a Selinunte e nella Valle dei Templi, e al confronto con lo Studio di un Carro Romano di Paola Miniero, gli assi dei carri greci dell’epoca non dovevano essere più alti di mezzo metro dal terreno e lo scartamento (ossia la distanza tra una ruota e l’altra) doveva misurare tra i 140 e i 150 centimetri. Dovevano plausibilmente essere trainati almeno da una coppia di animali da soma (come rappresentato nelle numerose testimonianze numismatiche e artistiche giunteci) e avere ruote in legno ma ferrate. Altro riferimento per stimarne lo scartamento è la larghezza di due buoi affiancati: la larghezza di un bue è circa 70-80 centimetri, quindi lo scartamento minimo tra una ruota e l’altra, per mantenere una determinata stabilità, sarebbe dovuto essere almeno 140 centimetri. Altro indizio sulla larghezza ci viene dato dalla lunghezza media dei blocchi ricavati dalle cave, ossia 130 centimetri, oppure, affiancandone due sul lato lungo, 120 centimetri di larghezza. In entrambi i casi, sarebbe stato utile avere un margine per lato di almeno una decina di centimetri e uno scartamento pari almeno alla larghezza del pianale. Quindi la stima di uno scartamento tra 140 e 150 centimetri, per un tipico carro greco, sembra plausibile.
In ogni caso, qualunque affioramento roccioso del terreno avesse superato i 40-45 centimetri d’altezza, sarebbe cominciato a essere un ostacolo, e la larghezza minima della “carreggiata” (quindi tra un solco e l’altro), avrebbe dovuto misurare almeno 140 centimetri: in contrada Granatari Vecchi, a Rosolini, vi sono cart ruts dalla larghezza massima di 130 centimetri e con affioramenti di 70 centimetri.
Il carico massimo sopportabile da un carro greco, in relazione anche alle informazioni disponibili rispetto a carri in legno dalla struttura simile ma costruiti in epoche diverse, doveva aggirarsi attorno ai 2500 chilogrammi. Tuttavia si deve anche tener conto del peso che la forza motrice, ossia una coppia di buoi, avrebbe potuto trainare, ossia, considerando che un solo bue sviluppa una forza di traino tale da spostare 350-500 chilogrammi, una coppia di buoi è in grado di muovere 700-1000 chilogrammi, ovviamente in pianura, su una superficie non troppo tortuosa e con gioghi di qualità ottimale. Chiaramente avrebbero potuto utilizzare anche più coppie di buoi. Le pendenze influiscono sul peso: spannometricamente il peso del carico aumenta del 10% ogni 10% di pendenza. In ogni caso, come testato dagli artiglieri di montagna del secolo scorso che, percorrendo le mulattiere, utilizzavano ancora i buoi per spostare i pezzi d’artiglieria, un bue trainante sembra avere un limite nel 20% di pendenza. La già accennata cart ruts conosciuta come Scala Greca, in contrada Targia, a Siracusa, presenta in un tratto in forte pendenza che probabilmente supera il 20%. Al centro della carreggiata vi sono dei fori, profondi una ventina di centimetri e dal diametro di circa trenta centimetri, in corrispondenza del tratto in pendenza, che Paolo Orsi interpretò come appositamente scavati per permettere lo stazionamento degli animali da soma, riconoscendo quindi le difficoltà che un carro trainato da buoi avrebbe avuto nel percorrerla. Tale Scala Greca, secondo l’esimio archeologo, poteva essere percorsa solo per un verso, in salita, poiché nel senso opposto, proprio per la forte pendenza, sarebbe stato impossibile impedire che i carri carichi travolgessero gli animali. I medesimi fori si trovano in altre cart ruts in zona, sempre in corrispondenza di pendenze (anche meno estreme).
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Chersifone e Metagene

Nel già citato De Architectura, sono descritti anche due particolari sistemi di trasporto, ideati dagli architetti cretesi Chersifone e Metagene (rispettivamente padre e figlio) per la movimentazione dei rocchi (cioè le sezioni) delle colonne e per blocchi di grande peso e dimensione che sarebbero stati utilizzati come architravi. Il primo consisteva nello sfruttare la forma cilindrica del rocco, utilizzandolo di fatto come una ruota da far trainare ad animali da soma; il secondo nell’imbracare il grosso blocco in una struttura cilindrica in legno, facendo quindi anche del blocco una ruota da trainare. Specifica però Vitruvio che entrambi i metodi potevano funzionare solo su terreni lisci, pianeggianti e per tragitti relativamente brevi (riportando il caso reale della costruzione del tempio di Diana a Efeso, in cui tali escamotage tecnici vennero applicati e permisero di percorrere 8000 piedi (cioè circa 2,5 Km). Non sarebbero quindi state macchine utilizzabili per esempio sul terreno problematico della zona di contrada Pizzuta. Delle ricostruzioni sono state messe in mostra a Selinunte.

Le slitte Le slitte potevano essere essenzialmente di due tipi: un tipo costituito da due assi su cui si montava un piano di carico, trainate da buoi, fatte scivolare su assi in legno, mobili, che venivano spostati in avanti man mano che si procedeva, quindi similmente alla lizzatura; un tipo inclinato, detto treggia, ancorato direttamente ai buoi, sui quali quindi gravava anche il peso statico del carico, alla Lo chiamavano Trinità, per intenderci…
Si trattava, in entrambi i casi, di un sistema che generava parecchio attrito, quindi di certo necessitava di una buona lubrificazione (olio d’oliva o grasso animale?), con forti limitazioni in particolare per quanto concerne la treggia (minor peso trasportabile, maggiori sollecitazioni durante il trasporto, maggiore attrito e minore efficacia di lubrificazione, dato che i “pattini” sono direttamente a contatto col terra e polvere). Osservando la morfologia del terreno di alcune cave in zona (in particolare, contrada Pizzuta e Marzamemi) scarterei il trasporto tramite treggia e scommetterei poco sulla lizzatura. Tuttavia, io non c’ero…
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Un’analisi tribologica

L’azienda Nanovea ha messo a disposizione nel suo sito internet un’analisi tribologica che indirettamente risulta utile per stimare in quanto tempo e in quanti passaggi carri o slitte avrebbero potuto produrre le cart ruts. Si tratta di un test comparativo della resistenza all’usura tra una lastra di marmo e una di calcarenite, consistente nello sfregarvi per 1000 volte, applicando una pressione di 10 Newton (equivalente al peso di 1 chilogrammo), una sferetta di allumina (ossido ceramico di alluminio), dalla durezza, in base alla Scala di Vickers, di circa 1800 HV (il ferro, in conformità a tale scala, ha invece una durezza massima di 80 HV, quindi 22,5 volte in meno rispetto all’allumina): il solco causato sulla lastra di calcarenite è risultato profondo 0,2 millimetri. Utilizzando i risultati di tale test come base di calcolo, ne deriva che per creare un paio di solchi paralleli profondi 22 centimetri (ossia la media delle misure rilevate tra contrada Targia e contrada Granatari Vecchi, i due siti da me visitati in cui le cart ruts sono meglio conservate), un carro pesante 1000 chilogrammi, con ruote ferrate, avrebbe dovuto fare 25000 passaggi, trasportando così 50000 blocchi, per un volume complessivo di 11700 metri cubi (non potendo stimare l’esatto peso del carro a vuoto, ho trascurato il viaggio di ritorno). A Targia ci sono circa una ventina di cart ruts parallele. Trascurando il fatto che alcune di queste convergono a un certo punto in una sola (solo che quest’ultima, invece di raddoppiare, triplicare o quadruplicare la profondità dei solchi, così come logicamente dovrebbe essere, dato che raccoglie il traffico convergente di più cart ruts, mantiene stranamente la medesima profondità media dei solchi delle cart ruts convergenti), il volume di blocchi trasportato si sarebbe spannometricamente aggirato intorno ai 230000 metri cubi che, considerando la grandezza della polis Siracusa, si tratta di una cifra più che plausibile.
Tuttavia, data la presenza di numerose altre latomie nella zona di Siracusa e dato anche il fenomeno della spoliazione di molte opere nel corso della storia, al fine di riutilizzarne il materiale di costruzione, diviene estremamente complicato stimare esattamente quanti blocchi siano stati estratti, da dove e per cosa siano stati utilizzati. Si presuppone, proprio perché il trasporto implicava notevoli difficoltà logistiche e pratiche, che le cave fossero sempre in funzione di cantieri specifici vicini.
Diviene invece più problematico giustificare la decina di cart ruts parallele a Granatari Vecchi data l’assenza di opere litiche importanti nei dintorni e, viceversa, l’assenza di cart ruts presso latomie di una certa estensione, come a Marzamemi.
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Mottershead, Pearson e Schaefer

Nel 2008 Derek Mottershead, Alastair Pearson, Martin Schaefer hanno pubblicato un interessante studio sulle cart ruts maltesi, nella rivista Antiquity.
Tramite lo Scleroscopio Shore, strumento che misura la resistenza alla penetrazione, quindi la durezza dei materiali, hanno rilevato che la resistenza all’erosione dei banchi rocciosi dei siti maltesi di Misrah Ghar Il-Kbir (più celebre come Clapham Junction), Bin?emma e Naxxar, in cui sono presenti diverse cart ruts, se completamente saturi d’acqua, si riduce tra il 25% e l’84% (proprio la roccia di Clapham Junction risulta la meno dura). Tuttavia, in condizioni reali, cioè dopo che un forte acquazzone ha bagnato solo esternamente la roccia che quindi rimane più o meno asciutta all’interno, la resistenza all’erosione diminuisce solo tra il 18% e il 56%. La presenza di eventuali licheni, inoltre, mitica il fenomeno.
Dall’analisi dei solchi, gli autori dello studio escludono che possano essere stati scavati a mano con strumenti tipici (come picconi o scalpelli) poiché la levigatura è incoerente con quel tipo di lavorazione, propendendo quindi per una formazione derivante dal passaggio di veicoli. Secondo gli studiosi, un carro utile a produrre le cart ruts di Malta, avrebbe dovuto essere a due ruote (come i carri tradizionali a Malta, i quali verosimilmente hanno un’origine molto antica), probabilmente cerchiate con un metallo, larghe 4 centimetri, con un diametro di 145 centimetri, uno scartamento di 140 centimetri e un peso a vuoto di 250 chilogrammi.
Rispetto a un oggetto statico, ad esempio una ruota ferma, un oggetto dinamico, come una ruota in movimento, produce una sollecitazione, sulla superficie sottostante, 6 volte maggiore. Quindi per un carro in movimento è 6 volte più semplice alterare il terreno, rispetto al medesimo carro fermo.
Per deformare la roccia maltese bagnata mediante compressione, quindi semplicemente tramite un carro fermo, basterebbe un peso totale tra 400 chilogrammi (a Misrah Ghar Il-Kbir) e 9000 chilogrammi (a Naxxar). Se il solo carro vuoto fosse in movimento, sarebbe sufficiente a erodere la roccia asciutta a Misrah Ghar Il-Kbir e la roccia bagnata a Bin?emma. Per erodere la roccia bagnata di Naxxar, tale carro dovrebbe essere caricato da 665 chilogrammi. Invece, in condizioni d’asciutto, il carico dovrebbe pesare 640 chilogrammi a Bin?emma e 950 chilogrammi a Naxxar.
Sostanzialmente gli autori vogliono semplicemente dimostrare che non c'è bisogno di scomodare il trasporto dei ben più pesanti megaliti col quale sono stati costruiti i vari templi a Malta (tra cui il celebre ?gantija) per spiegare la formazione delle cart ruts: sarebbe bastato un utilizzo “ordinario” dei carri.
Slitte e tregge, come sistemi che avrebbero formato le cart ruts, vengono escluse dallo studio poiché il peso del carico graverebbe non sulla sola superficie di contatto delle ruote di un carro, ma scaricato sui pattini a contatto col terreno. Sostanzialmente si avrebbe a che fare con una leva di terzo genere che farebbe aumentare drasticamente l’attrito e la forza richiesta per mantenerne il sollevamento e il traino, rendendo il sistema di fatto impraticabile. Inoltre, secondo gli autori, la presenza di solchi profondi anche 65 centimetri sarebbe incompatibile con una slitta che, plausibilmente progettata per trasportare almeno 1000 chilogrammi, non potrebbe strutturalmente lasciare uno scarto adeguato alla profondità dei solchi (65 centimetri) tra il piano di carico e i pattini.
I solchi sulle rocce deboli (a Misrah Ghar Il-Kbir) si sarebbero formati in un periodo più breve rispetto a quelli sulle rocce più resistenti (a Naxxar) che dunque, a parità di profondità, sarebbero stati utilizzati per più tempo. A Misrah Ghar Il-Kbir, alcune cart ruts convergono in una sola, la quale risulta più profonda delle due confluenti, poiché avrebbe intercettato i passaggi di entrambe le cart ruts precedenti.
Le profondità massime riscontrate dei solchi sono sostanzialmente uguali, anche se le rocce sono diverse, in quanto il limite di percorribilità era determinato dallo stato d’usura, dato che i veicoli avevano evidentemente caratteristiche standard. Le cart ruts con i solchi più profondi sarebbero state abbandonate in favore di nuovi tragitti, portando quindi alla duplicazione dei percorsi: così gli autori dello studio spiegano in parte la presenza di più cart ruts parallele. Probabilmente l'attuale superficie rocciosa solcata era in origine coperta dal terreno, il che risolverebbe l’apparente insensatezza di alcuni percorsi: in altre parole, il terreno avrebbe coperto ostacoli rocciosi che sarebbero venuti fuori man mano che quei tragitti fossero stati praticati, per poi o farli deviare o, semplicemente, abbandonarli in favore di percorsi alternativi. Tale sarebbe un altro motivo che spiegherebbe la presenza di più cart ruts parallele.
In sintesi, la particolare abbondanza di cart ruts a Malta, sarebbe quindi fondata su fattori ambientali piuttosto che culturali: la relativa morbidezza della roccia avrebbe consentito l’uso delle cart ruts solo per un breve periodo, costringendo all’individuazione di nuovi tragitti i quali, a loro volta, avrebbero avuto un decorso rapido; inoltre, la presenza di ostacoli via via affioranti dall’usura dei percorsi, avrebbe costretto alla loro deviazione o alla scelta di nuovi percorsi.

TERZA PARTE
Fonte Testo: Antonino Rampulla
ARCHIVIO NEWS
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IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (QUARTA PARTE) IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (QUARTA PARTE)
Clicca qui per tornare alla terza parte Clapham Junction Come nel sito maltese Misrah Ghar Il-Kbir, anche nelle contrade Targia e Granatari Vecchi le cart ruts si intersecano e si incrociano in modo simile agli scambi dei binari in una stazione ferroviaria. Il soprannome Clapham Junction che è stato dato da David H. Trump al sito maltese, deriva proprio dalla somiglianza con la nota stazione ferroviaria inglese. Per la Sagona si tratta di solchi agricoli e canali d’acqua, per Mottershead, Pearson e Schaefer si tratta di percorsi abbandonati per via di ostacoli e usura. Non sappiamo ovviamente quale fosse la morfologia del territorio siracusano e rosolinese ai tempi in cui furono tracciate le cart ruts, ma considerando il contesto attuale, di certo non ci sarebbe stato alcun motivo agricolo per realizzarle, data la presenza di terreni fertili, di fonti e corsi d’acqua dolce...
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE) IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
Clicca qui per tornare alla SECONDA PARTE Considerazioni sulle tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer Trovo tale studio estremamente interessante, anche se mi perplime quest’enfasi sulla perdita di durezza della roccia bagnata dato che Malta è fra i territori europei a maggior rischio di desertificazione (come lo è purtroppo anche la zona sud orientale della Sicilia). Non sappiamo esattamente che clima ci fosse a Malta durante la realizzazione delle cart ruts, dato che non sappiamo nemmeno con certezza a che epoca risalgano. In ogni caso, potrebbe essere comprensibile prendere il fattore umidità in forte considerazione, in relazione a un territorio costantemente soggetto a precipitazioni, ma per quale motivo gli antichi maltesi avrebbero dovuto intensamente fare viaggi con carri carichi proprio dopo un acquazzone, con tutti i disagi che per esempio il fango avrebbe...
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Chi sono Rileggendo la bozza finale di quanto ho scritto, credo che questa volta sia opportuno spendere un paio di righe per presentarmi. Sono Antonino Rampulla, proprietario dell’agricampeggio il cui sito internet ospita questo blog, laureato in filosofia, con una crescente passione per l’archeologia, nata dalla curiosità per i siti archeologici di cui, in particolare, è ricca la Sicilia sud orientale. Certo della mia sostanziale ignoranza in materia, cerco di recuperare studiando nel tempo libero. Tuttavia, non di rado, mi capita di imbattermi in certezze storiche, accademicamente condivise, che fanno un po’ a pugni con ciò che la logica invece è sembrata suggerirmi dall’osservazione di alcuni particolari dei siti archeologici visitati. Quindi, semplicemente, mi faccio delle domande e, con piglio quanto più possibile scientifico, provo a cercare delle risposte. Il...
SE VI RAGGIUNGO A PIEDI, COME MI SPOSTO? SE VI RAGGIUNGO A PIEDI, COME MI SPOSTO?
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