IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
Fonte Foto: Antonino Rampulla
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Considerazioni sulle tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer

Trovo tale studio estremamente interessante, anche se mi perplime quest’enfasi sulla perdita di durezza della roccia bagnata dato che Malta è fra i territori europei a maggior rischio di desertificazione (come lo è purtroppo anche la zona sud orientale della Sicilia). Non sappiamo esattamente che clima ci fosse a Malta durante la realizzazione delle cart ruts, dato che non sappiamo nemmeno con certezza a che epoca risalgano. In ogni caso, potrebbe essere comprensibile prendere il fattore umidità in forte considerazione, in relazione a un territorio costantemente soggetto a precipitazioni, ma per quale motivo gli antichi maltesi avrebbero dovuto intensamente fare viaggi con carri carichi proprio dopo un acquazzone, con tutti i disagi che per esempio il fango avrebbe comportato?
Il territorio maltese è estremamente simile dal punto di vista morfologico alla Sicilia sud orientale costiera, non a caso da alcune foto pubblicate dall’ottimo Uwe Schneider sulle cart ruts maltesi, se non vi fosse una didascalia a specificarlo, sembrerebbe di trovarsi in una delle contrade costiere tra Noto e Portopalo di Capo Passero. Tuttavia ho l’impressione che le spiegazioni di Mottershead, Pearson, Schaefer riguardo alle cart ruts maltesi, sulle similissime cart ruts di contrada Targia e contrada Granatari Vecchi, non siano del tutto adeguate. Ad esempio, riguardo alla profondità dei solchi, ho riscontrato che viene rispettato un criterio di mantenimento di pendenza, probabilmente per evitare sbalzi, piuttosto che un passivo ritrovarsi con solchi profondi 65 centimetri per via del logoramento tramite i tanti passaggi. La pendenza di un dato segmento è quindi quasi sempre in continuità con quella del segmento precedente, nonostante le irregolarità del banco roccioso.
Inoltre ho rilevato la presenza di una sorta di cornice, bordatura, a fianco ai solchi che difficilmente possono trovare spiegazione tramite il logorio dovuto al passaggio dei carri, poiché risulta indipendente da eventuali sporgenze in corrispondenza degli assi delle ruote.
Condivido appieno l’idea che tali solchi non possano essere il risultato del lavoro di mazzette, scalpelli e picconi, ma questo studio sembra incentrato alla sola dimostrazione che quei solchi possono essere stati provocati dal passaggio di carri. Sarebbe stato interessante avere, ad esempio, una stima del numero di passaggi (a vuoto o con carico, all’asciutto o al bagnato) che sarebbe stato necessario ai carri per produrre i solchi maltesi.

Sagona

Nel 2004, sull’Oxford Journal Of Archaeology, Claudia Sagona pubblica una tesi alternativa sulla funzione delle cart ruts maltesi: al contrario di Mottershead, Pearson, Schaefer , facendo leva proprio sull’importante grado di siccità e aridità dell’arcipelago maltese, ipotizza che siano state realizzate per fini agricoli. Le numerose strutture megalitiche a Malta e Gozo, sono necessariamente opera di una civiltà con una complessa struttura sociale e importanti esigenze alimentari.
La Sagona distingue i solchi in relazione alla loro forma, ad esempio i solchi poco profondi e rettangolari potrebbero, anche se lei stessa pone molti dubbi al riguardo, risalire all’epoca romana, quindi conseguenza del passaggio di carri romani. Differente sarebbe invece l’origine e la funzione dei più profondi e irregolari solchi a forma di "U" o "V", spesso a gruppi multipli come a Misrah Ghar Il-Kbir, probabile risultato di un intenso sfruttamento agricolo del terreno. La Sagona non esclude l’origine naturale di alcuni solchi, che sarebbero dovuti alle giunture nella roccia madre tipiche della topografia carsica, tuttavia, sulla scia di Guy Schneider (e a differenza di Mottershead, Pearson e Schaefer), ritiene che alcuni siano deliberatamente tagliati a mano, a colpi di piccone.
Poiché altre popolazioni nell’area mediterranea, contemporanee alla cultura che ha costruito i templi a Malta, erano solite trasportare materiale a mano o tramite animali da soma (direttamente caricati sul dorso), per la Sagona è improbabile l’utilizzo di carri da trasporto nell’arcipelago maltese. Gli antichi veicoli a ruote erano leggeri e con funzioni esclusivamente militari. Il traino di carri tramite animali sarebbe divenuto comune solo nel periodo romano, per via della più elevata qualità della rete viaria e delle migliori imbracature per gli animali. Con le imbracature disponibili nel neolitico, gli animali non avrebbero potuto trainare carichi dal peso sufficiente a produrre le cart ruts. Inoltre, la profondità dei solchi, date le piccole dimensioni di Malta e Gozo, sarebbe incompatibile col potenziale volume di traffico. Secondo l’autrice dello studio, in particolare a Misrah Ghar il-Kbir, alcuni solchi deriverebbero quindi dalla lavorazione dei terreni a fini agricoli, altri sarebbero canali d'acqua, distanti tra loro tra 137 e 141 centimetri. Per la Sagona è innegabile che per costruire templi come Ggantija, quella cultura conosceva e utilizzava abilmente leve e carrucole. Quindi anche la creazione di nuovi terreni arabili, tramite l’applicazione delle medesime competenze ingegneristiche, sarebbe potuta essere alla sua portata.
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Considerazioni sulle tesi della Sagona

È chiaro che, data l’estrema similarità del territorio maltese rispetto a quello della Sicilia sud orientale, e considerata la forte affinità strutturale tra le cart ruts maltesi e siciliane, relaziono lo studio della Sagona anche rispetto alle cart ruts di cui ho diretta esperienza. Per quanto di alcune, in effetti, non si possa escludere un’origine più recente, provocata dal passaggio di carri, di altre mi sentirei di escludere categoricamente (quindi in accordo con Mottershead, Pearson e Schaefer) che possano essere il frutto di picconi e scalpelli. E siccome, grazie anche al lavoro di Uwe Schneider e al reportage di Massimiliano Caranzano, si ha la possibilità di visionare con attenzione foto e video delle cart ruts maltesi, mi chiedo quale particolare possa averla convinta che possano essere state scavate con piccone e scalpello.
Inoltre non riesco a individuare quale acqua dolce gli antichi maltesi avrebbero potuto incanalare, se oggi l’acqua dolce disponibile a Malta è quasi tutta ricavata dalla desalinizzazione dell’acqua marina, essendo sostanzialmente sprovvista di corsi o fonti d’acqua. Per poter dare credito a questa tesi, mi sarei aspettato di trovare, nei pressi di Misrah Ghar Il-Kbir, un sistema di accumulo di acqua piovana da far defluire, al bisogno, lungo la rete di solchi. Ovviamente il discorso che la Sagona fa è più complesso rispetto alla sintesi che ne ho fatto, postulando anche l’utilizzo di alghe come fertilizzante, ma la sostanza è che un simile sistema, per poter funzionare, necessiterebbe comunque della disponibilità di acqua dolce.
Rispetto alla maggior parte delle cart ruts non sono certamente un fautore della tesi, seppure plausibile in determinati casi, secondo cui sarebbero stati provocati dal passaggio di carri, tuttavia un altro punto dello studio della Sagona che mi lascia un po’ perplesso è il rimando alla cultura che ha costruito i templi, come realizzatrice anche dei presunti solchi agricoli, escludendo però l’utilizzo di carri da trasporto: i megaliti di Ggantija da 50 tonnellate, se si esclude l’utilizzo di veicoli trainati o comunque azionati da forza animale, come li avrebbero spostati?

Caratteristiche delle cart ruts nella Sicilia sud orientale

Ho avuto modo di osservare sul campo, con attenzione, le cart ruts in contrada Targia, a Siracusa; nella Riserva di Vendicari, tra contrada Pizzuta e contrada Maccari; in contrada Granatari Vecchi, a Rosolini; in contrada Cugni, a Pachino. Ne ho riscontrato tracce anche in altre zone, tra cui Noto Antica, contrada Castelluccio di Noto e nei pressi di Cavagrande del Cassibile, ma di alcune sono parecchio incerto che si possa parlare propriamente di cart ruts, quindi ho scelto per il momento di non prenderle in considerazione come riferimento primario.
L’impressione è che vi siano diversi tipi di cart ruts, con piccole differenze per quanto riguarda la larghezza della carreggiata e la forma del solco. Tuttavia, il fatto che molte risultano estremamente rovinate e usurate, fa sì che non si possa escludere che si tratti di strutture che il corso del tempo (e il frequente utilizzo?) abbia così tanto modificato, da farle oggi apparire in modo sostanzialmente diverso dalla forma originaria.
La larghezza interna della carreggiata, ossia da lato interno a lato interno dei solchi, misura mediamente fra 110 e 130 centimetri, la larghezza dei solchi varia fra 15 e 40 centimetri e la loro profondità media misura fra 15 e 30 centimetri, con picchi di 65-70 centimetri (dovuti a sporgenze della roccia, al fine di mantenere una lineare pendenza del solco). Alcuni solchi, con un chiaro profilo a “V”, hanno una larghezza alla base, nella parte più profonda, di 10-12 centimetri. A fianco ai solchi vi è generalmente una sorta di bordatura, di cornice, alta 8-10 centimetri e larga 14-15 centimetri. In presenza di forti pendenze vi sono dei fori centrali, lievemente decentrati, dal diametro medio di 30 centimetri, dalla profondità media di 20 centimetri e tra loro distanti 40-50 centimetri.
In fondo ai solchi, in particolare nelle cart ruts più definite e meglio conservate (in contrada Granatari Vecchi e in contrada Targia), si riscontra una colorazione più scura della roccia che, come evidenziato da alcune sagome d’estrazione di blocchi che tagliano alcune cart ruts a Targia, penetra all’interno della roccia per 5-10 centimetri, come se fosse stata bruciata, sottoposta a un forte calore (conseguenza di un importante attrito?)
Operando con le medesime categorie logiche di Mottershead, Pearson e Schaefer, prendendo in considerazione le misure delle cart ruts meglio conservate, un mezzo adatto a percorrerle avrebbe dovuto avere uno scartamento di 130 centimetri, un diametro delle ruote, evidentemente ferrate, di almeno 145 centimetri e una larghezza di 8 centimetri. Ossia misure simili al carro teorizzato dai tre studiosi. Solo poche cart ruts sarebbero invece state compatibili sia col carro romano della Minero, sia con le ricostruzioni fatte a Selinunte e nella Valle dei Templi.
Come già scritto, escludo che la maggior parte delle cart ruts personalmente visionate, sia stata realizzata a colpi di piccone o scalpello, poiché l’accuratezza della levigazione è tale che non ha corrispondenze con le strutture autenticamente greche presenti in zona, in cui è evidente la lavorazione mediante piccone o scalpello.
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Se non si avesse certezza che si tratti di roccia calcarea autoctona, specialmente a Granatari Vecchi, sembrerebbe di avere a che fare con una colata di cemento molto liquido o, comunque, con della roccia che al momento della lavorazione non fosse del tutto solida, come si trattasse di una sorta di lava.

Latomie e cart ruts

La tesi ortodossa, ossia l’ipse dixit sulle cart ruts siciliane, è che si tratta di carraie greche i cui solchi sono il prodotto indiretto dei numerosi passaggi dei carri, trainati da animali, carichi di blocchi di calcarenite o arenaria estratti dalle cave, localmente definite anche latomie.
Il problema è che nei pressi di molte importanti latomie, come quelle parzialmente subacquee di Marzamemi, non c’è traccia di cart ruts.
Di certo in epoca romana, e probabilmente anche in epoca greca, il livello del mare era più basso di almeno un metro rispetto a oggi. Dunque, lapalissianamente, le latomie di Marzamemi sono state sfruttate quando non erano ancora state sommerse dal mare. Data l’assenza evidente di cart ruts lungo la scogliera antistante tali latomie, si può ipotizzare che i blocchi estratti fossero trasportati via mare. Eventuali imbarcazioni, rispetto a quanto suggerito dall’attuale morfologia del territorio, si sarebbero trovate almeno a 130 metri di distanza dalle prime cave: i blocchi estratti, in qualche modo, su queste imbarcazioni sarebbero dovuti essere trasportati? Perché sono rimaste anche le più piccole tracce d’incisione della roccia e si sarebbero cancellati tutti i solchi delle ruote dei carri?
Anche in contrada Pizzuta si trovano cave di una certa entità a 120-150 metri dalla costa e le prime evidenti carraie si trovano a ridosso del mare: non dovrebbero esserci tracce di cart ruts a partire da dove i blocchi sono stati estratti?
Per la medesima logica, la presenza di un’importante quantità di grossi blocchi, ad esempio a Megara Iblea o presso le mura nord di Eloro, non dovrebbe presupporre la presenza di cart ruts? Dato che, come visto, i sicelioti tendevano all’ottimizzazione dei processi lavorativi, estraendo il materiale edile in prossimità dei cantieri, se le cart ruts fossero effettivamente il prodotto del passaggio dei carri , non dovremmo aspettarci di trovarne in gran quantità soprattutto in prossimità delle opere più importanti? Viceversa, come mai in contrada Cugni, a Pachino, o in contrada Granatari Vecchi, a Rosolini, non c’è traccia di strutture che possano giustificare la presenza delle carraie?
Come anche rilevato da David H. Trump in relazione ai suoi studi sulle cart ruts maltesi e come già brevemente accennato, alcune cart ruts sono interrotte da latomie ma riemergono esattamente nel punto in cui si sarebbero trovate se non vi fossero state tali cave: l’impressione è che siano state le latomie a tranciare le cart ruts e quindi che le prime siano cronologicamente posteriori alle seconde. Ho inoltre riscontrato la presenza di sagome d’estrazione proprio in mezzo a delle cart ruts, aventi un lato ricadente esattamente lungo un solco, come se questo fosse stato sostanzialmente sfruttato per abbreviarsi il lavoro d’estrazione. Scriveva nel 2002 David H. Trump, relativamente ai solchi maltesi, che "ci sono alcuni casi in cui i cavatori successivi hanno sfruttato i solchi per facilitare l'estrazione della pietra. Qui è evidente che sono stati i solchi a venire prima e l'estrazione dopo, probabilmente molto tempo dopo”.
Se le cart ruts fossero state contemporanee delle latomie, quindi in qualche modo a queste connesse o addirittura in funzione di queste, che senso avrebbe avuto fondamentalmente rovinarle o troncarle?
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Evitare gli ostacoli

Nei siti da me visitati, si riscontrano sporgenze rocciose alte anche 70 centimetri dalla base del solco (che ricordano i 65 centimetri dei rilevamenti di Mottershead, Pearson e Schaefer): anche ammesso che l’asse del veicolo fosse stato tanto alto da passarci sopra, per quale arcano motivo non sarebbe stato più pratico, meno problematico, deviare quelle sporgenze, passarvi lateralmente, invece di costringere gli eventuali animali da soma ad arrampicarvisi? Tra l’altro, se il veicolo è trainato da animali, perché non scegliere tragitti più morbidi, magari in terra battuta, piuttosto che stressare ruote e zoccoli sulla durezza e asperità della roccia? Dalle descrizioni dello stesso Vitruvio, traspare una mentalità greco-romana tesa alla praticità, alla ricerca di sistemi tecnici per agevolarsi il lavoro, per razionalizzarlo, un modus operandi non dissimile dal nostro… In questo caso, preferirei sposare la tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer sulla presenza di uno strato di terra che nascondesse 70 centimetri di affioramento roccioso, piuttosto che ipotizzare la poca accortezza dei sicelioti…
Tuttavia rimarrebbe da spiegare come sarebbe stato possibile accorgersi di un problematico strato roccioso solo dopo averne consumato 70 centimetri… Roccia e terra non hanno la medesima densità e qualche anomalo sobbalzetto a ogni passaggio si sarebbe dovuto percepire…

Strade greche e romane

In relazione alla tesi secondo cui le cart ruts siciliane fossero opera diretta dei Greci o dei Romani, quindi scavate con piccone, scalpello e mazzetta, bisogna innanzitutto considerare che le polies greche, quasi sempre in contrasto tra loro, si univano in alleanze militari solo per fronteggiare nemici che singolarmente non sarebbero state in grado di affrontare. L’identità greca, culturalmente in opposizione al resto del mondo da loro conosciuto, popolato dai barbari (tra i quali, inizialmente, erano inclusi anche i Romani…), non era da loro per nulla intesa come un’unità politica. È stata forzatamente costretta a esserlo, prima con Filippo II di Macedonia e suo figlio Alessandro Magno, poi, come provincia dell’Impero Romano. Per questo motivo, a differenza dei Romani, non avevano molti interessi a costruire strade al di fuori della propria polis (a parte poche e circostanziate eccezioni), che per lo più sarebbero comunque state lastricate, com’erano soliti fare. Inoltre, il contesto geografico, ossia il territorio prevalentemente montuoso della Grecia, scoraggiava, date le difficolta che avrebbero incontrato, eventuali velleità alla realizzazione di strade extra-polis.
I Romani, invece, sono riusciti a costruire un Impero millenario anche grazie alla loro eccellente rete stradale. La loro perizia nel costruire strade, che ingegneristicamente erano, tra l’altro, di gran lunga superiori a quelle greche, era tale che non si comprende per quale motivo sarebbero dovuti andare a tracciare solchi a Malta (considerazione vagliata anche dalla Sagona).
Le strade autenticamente greche e romane (per esempio nelle Marche, nei pressi di Corinto o a Pompei) sono tutte lastricate ed alcune presentano anche dei solchi. Alcuni di questi sono stati scavati appositamente come sistemi di drenaggio o per indirizzare i carri in determinati punti di passaggio, altri creatisi effettivamente per usura della pietra, tanto che a un certo punto sono stati costretti a costruire i carri standardizzando lo scartamento (di circa 140 centimetri), altrimenti i carri con uno scartamento diverso avrebbero avuto difficoltà a percorrere quelle carreggiate: tuttavia tali solchi hanno caratteristiche molto diverse dai solchi tipici delle cart ruts (ad esempio per quanto concerne la profondità, la forma e, chiaramente, il contesto).

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Fonte Testo: Antonino Rampulla
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