TORRE FANO: DA 2500 ANNI CI GUARDA LE SPALLE DAI PIRATI
TORRE FANO: DA 2500 ANNI CI GUARDA LE SPALLE DAI PIRATI
Fonte Foto: Antonino Rampulla
Quando e perché fu costruita

Sappiamo che nel 1526 Torre Fano fu parzialmente distrutta dal corsaro barbaresco Dragut (in realtà ammiraglio della flotta ottomana, viceré di Algeri, signore di Tripoli e Mahdia), habitué di saccheggi e razzie nelle coste siciliane. Il fenomeno della pirateria barbaresca (da Barberia, ossia il nome col quale gli europei dal medioevo definivano il Maghreb africano, abitata appunto dai berberi), politicamente connesso all’Impero Ottomano, tra il XIV e il XIX secolo è stato una vera piaga per lo sviluppo delle coste siciliane. I corsari barbareschi non si limitavano infatti esclusivamente ad abbordare e razziare navi ma furono protagonisti anche della deportazione e riduzione in schiavitù di migliaia di siciliani (ad esempio, a Lipari, nel 1544, furono deportate 9000 persone), per loro fonte notevole di reddito (una giovane schiava europea poteva costare anche più di una casa).
Nel 1583 l’ingegnere militare Camillo Camilliani fu incaricato dal viceré Marcantonio Colonna, per conto di Filippo II d’Asburgo, di censire le strutture difensive e d’avvistamento della costa siciliana sud orientale al fine di opporre una più efficace resistenza alle sempre più frequenti incursioni piratesche. Camilliani descrisse però Torre Fano come una struttura di scarsa funzionalità, da tralasciare in favore della più urgente la fortificazione dell’Isola di Capo Passero. Sembrerebbe quindi che l’edificazione di Torre Fano sia avvenuta non prima del XV secolo proprio come risposta del crescente fenomeno piratesco.
Tuttavia la prima costruzione di Torre Fano è probabile che affondi le radici in epoca greca, sicuramente non prima della fondazione di Siracusa (733 a.C.) e della sua importante sub-colonia Kamerina (598 a.C.), parte di un complesso di torri costiere che mettevano in comunicazione, tramite l’accensione di fani, le due polis a scopo difensivo.
In Sicilia, dato il continuo susseguirsi di dominazioni differenti, è frequente la sovra-strutturazione architettonica: ad esempio, la cattedrale di Siracusa è costruita su un tempio greco, che ha inglobato. Considerando parallelamente la genesi della vicina Torre Stampace, eretta nel 1353 su ordine di Pietro d'Aragona, sui resti di una fortezza romana all’interno della polis Eloro, quindi probabilmente a sua volta su una preesistente struttura greca, è plausibile che Torre Fano, sebbene più volte rimaneggiata nel corso della storia, abbia mantenuto base e nucleo originari. Non superando mai i dieci metri d’altezza e i sei di diametro, non potendo quindi per le ridotte dimensioni ospitare una guarnigione militare o un cannone, ha mantenuto la sua unica funzione di torretta di segnalazione e faro per i naviganti fino agli inizi del XVIII secolo.
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Cos’erano i fani

Il termine fano è più probabilmente d’origine greca che latina. Il latino fanum significava per i romani luogo sacro, votivo, quindi ha poco a che vedere con una torre d’avvistamento di matrice militare. Il greco (traslitterato) phanos aveva invece il significato di illuminazione (dal quale, ad esempio, deriva l’italiano fanale), per estensione significava quindi torre con funzioni di faro. Le segnalazioni avvenivano mediante l’accensione di fuochi particolarmente fumeggianti, sulla loro sommità.
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I fossili di Torre Fano

Probabilmente chi ha ritenuto che non occorresse alcuna forma di tutela e protezione per Torre Fano, avrà pensato che in fin dei conti si trattasse solo di un cumulo di poche pietre. Tuttavia, oltre all’intrinseca importanza storica in quanto architettura militare di plausibile origine greca, si aggiunge un fatto paleologicamente e antropologicamente interessante: il pietrame col quale è stata costruita presenta evidenti fossilizzazioni per demineralizzazione, ossia calchi fossili.
Affinché si formi un fossile possono anche occorrere milioni di anni. E non si tratta di un fenomeno facilmente verificabile e frequente). Un organismo vivente, per divenire un fossile, al momento della morte deve trovarsi in brevissimo tempo avvolto in un sedimento inglobante molto fine, così da essere completamente e rapidamente isolato dall'ambiente esterno, al riparo cioè da aggressori biologici, chimici e meccanici (ad esempio batteri, organismi saprofagi, acqua). In effetti Torre Fano si trova in una zona parecchio antica e le vicine grotte Calafarina e Corruggi testimoniano un’antropizzazione ben precedente alla colonizzazione greca. Si trova infatti tra Marzamemi e Portopalo di Capo Passero a ridosso di una zona che andrebbe studiata molto più approfonditamente di quanto fatto agli inizi del secolo scorso dall’archeologo Paolo Orsi, ossia contrada Cugni, in cui si riscontrano anche evidenti tracce di insediamenti greci e romani, ma le leggi esistenti in Italia incentivano a rimettere in fretta sotto terra eventuali ritrovamenti ).
È improbabile che i costruttori di Torre Fano avessero scelto con capillare attenzione il materiale col quale riempire il nucleo della struttura, selezionando quasi esclusivamente pietre con tracce fossili (tra l’altro, a che pro?) Ancor meno probabile è che l’avessero trasportato da un luogo distante da quello scelto per la sua edificazione. Insomma, lì quelle pietre si trovavano e quelle hanno utilizzato.
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Che cosa resta di Torre Fano

Oggi le rovine di Torre Fano giacciono in un piazzale dall’incredibile panorama sul Golfo di Noto, alla mercé d’improvvisati writers e di chi vorrebbe farne un’isola ecologica per la raccolta dell’indifferenziata, senza un briciolo di recinzione o un’insegna con quel minimo d’informazioni storiche che magari potrebbero far desistere chi è intenzionato a esplicare su queste i propri propositi amorosi.

Per approfondire consiglio la lettura del testo Torre Fano di Antonello Capodicasa e Pachino nel corso del tempo di Giuseppe Drago.
Fonte Testo: Antonino Rampulla
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IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE) IL PROBLEMA DELLE CART RUTS NELLA SICILIA SUD ORIENTALE (TERZA PARTE)
Clicca qui per tornare alla SECONDA PARTE Considerazioni sulle tesi di Mottershead, Pearson e Schaefer Trovo tale studio estremamente interessante, anche se mi perplime quest’enfasi sulla perdita di durezza della roccia bagnata dato che Malta è fra i territori europei a maggior rischio di desertificazione (come lo è purtroppo anche la zona sud orientale della Sicilia). Non sappiamo esattamente che clima ci fosse a Malta durante la realizzazione delle cart ruts, dato che non sappiamo nemmeno con certezza a che epoca risalgano. In ogni caso, potrebbe essere comprensibile prendere il fattore umidità in forte considerazione, in relazione a un territorio costantemente soggetto a precipitazioni, ma per quale motivo gli antichi maltesi avrebbero dovuto intensamente fare viaggi con carri carichi proprio dopo un acquazzone, con tutti i disagi che per esempio il fango avrebbe...