VILLA ROMANA DEL TELLARO: UN’OCCASIONE MANCATA?
VILLA ROMANA DEL TELLARO: UN’OCCASIONE MANCATA?
Fonte Foto: Antonino Rampulla
Me ne vergogno un po’, ma ammetto che nonostante la Villa Romana del Tellaro sia proprio dietro l’angolo rispetto all’Agri Camping Sophia, l’ho visitata per la prima volta solo a fine estate 2017. I mosaici (male) conservati avrebbero perfino una valenza artistica superiore rispetto ai già parecchio rilevanti mosaici della più blasonata Villa Romana del Casale di Piazza Armerina: come mai allora sta lì, quasi dimenticata, con insufficienti accortezze per la sua preservazione?

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A settembre inoltrato, con la stagione estiva in fase calante, decido che sia finalmente giunto il momento di salire in macchina alla volta della Villa Romana del Tellaro. Dopo una decina di minuti di tragitto, poco prima del ponte sul fiume Tellaro, imbocco la strada in cui svetta l’inequivocabile indicazione stradale della mia agognata meta. Percorro lentamente la strada per circa un chilometro, ma finisco nell’ampio parcheggio di quella che dopo una decina di minuti scopro essere una fattoria didattica. Un gentile signore m’informa infatti di non trovarmi esattamente nella Villa Romana del Tellaro e che per raggiungerla sarei dovuto tornare indietro di una cinquantina di metri e imboccare una stradina sterrata per altri cento metri. Ringrazio per l’informazione e risalgo in macchina, rimuginando tra me e me su come mi fosse sfuggita l’insegna dell’ingresso della Villa…
Finalmente giunto alla Villa Romana del Tellaro, mi reco all’entrata tirando prontamente fuori il portafogli per pagare il biglietto d’ingresso. Mi viene rilasciato sì un biglietto ma, con mio stupore, gratuitamente: l’ingresso alla Villa è dunque gratis, libero, free.

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Ancora incredulo m’incammino disorientato nei meandri della masseria settecentesca costruita sui resti della Villa, oggi ristrutturata e adibita a museo, fino a quando incontro un volontario, un ragazzo a modo, che mi chiede se mi farebbe piacere essere guidato nella visita. Ovviamente accetto (gli avrei lasciato come mancia i soldi messi in conto per il biglietto…) Comincia così a spiegarmi la genesi della Villa, arricchendola con nozioni sul contesto storico che, dati i miei studi universitari, in verità sono un piacevolissimo ripasso. Dopo esserci reciprocamente fatti simpatia e avermi visto sinceramente interessato, comincia a confidarmi che nel capanno verde che si vede durante il percorso, stanno un po’ segretamente (e molto lentamente per carenza di fondi) scavando e ripulendo altri mosaici, senza farne troppa pubblicità per timore che qualche malintenzionato possa “curiosare”. A questo punto gli chiedo come mai l’ingresso non fosse a pagamento: mi risponde che quando era a pagamento avrebbero ricevuto non solo furti ma anche tristissime richieste di pizzo, quindi la Soprintendenza ha ritenuto che la soluzione più immediata fosse eliminare l’ingresso a pagamento. Mi spiega che la stessa scoperta della Villa Romana del Tellaro fosse comunque legata ad attività notturne sospette e scavi clandestini negli anni ’70: la malavita aveva cominciato a trovare e a vendere sul mercato nero i suoi reperti archeologici. Passiamo davanti al mosaico raffigurante una complessa scena di caccia. Mi dice che quando lo scirocco soffia più del solito, alcune delle piccole tessere che lo compongono si staccano e volano in mezzo all’erbaccia incolta. Purtroppo ci troviamo di fronte all’ennesima constatazione dell’incapacità della Regione Sicilia di preservare i propri tesori archeologici. E in questa porzione d’isola, purtroppo, l’incuria abbonda.

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In ogni caso, la Villa Romana del Tellaro è una struttura di grande valore storico che vale certamente una visita, costruita a metà del IV secolo come dimora nobiliare in un impero sempre più cosmopolita, come testimoniano i mosaici probabilmente opera di artisti africani, ma politicamente sempre più fragile. La costruzione di ville nelle provincie dell’impero in epoca tardo imperiale, che trae origine dal decentramento amministrativo voluto da Diocleziano alla fine del III secolo, è di fatto l’incipit del processo d’incastellamento che trovò compimento nell’alto medioevo, ossia il progressivo svuotamento delle città in favore di fortificazioni in piena campagna, meno in vista e più facili da proteggere. La Villa Romana del Tellaro era raggiungibile anche risalendo il fiume Tellaro, al tempo navigabile. Come di consuetudine, sulle sue rovine è stata nel XVIII secolo edificata una masseria: non è inusuale che i posteri sistematicamente abbiano sfruttato le fondamenta di strutture più antiche per edificare a loro volta edifici funzionali alle loro esigenze di vita. Così non è fantascienza ipotizzare strutture greche più antiche a fondamento della medesima Villa Romana del Tellaro.
È stata rinvenuta solo la parte centrale della Villa: ci sarebbe ancora tanto da scavare e portare alla luce, ma la cronica carenza di fondi e il fatto che le fondazioni della masseria risultano interamente sovrapposte alle fondazioni della Villa, non sono d’aiuto alla prosecuzione dei lavori. È altamente probabile che la costruzione della masseria abbia inoltre prodotto sostanziali modifiche all’assetto originario della Villa, così come un incendio avvenuto probabilmente nel V secolo che avrebbe interessato soprattutto l’integrità dei mosaici. La particolare importanza artistica e storica dei mosaici deriva dalla raffinata policromia utilizzata, dal tentativo di raffigurare graficamente il movimento e dalla rappresentazione di scene che permettono di approfondire alcuni aspetti della vita sociale dell’epoca. Emblema della difficoltà tecnica dei lavori di rinvenimento è il mosaico della Pesatura del corpo di Ettore, in parte andato distrutto per la posatura delle fondamenta della masseria, in parte recuperato dalla loro esportazione. Estremamente interessante è il mosaico raffigurante una scena di caccia, in cui le figure sono innovativamente distribuite in modo non strettamente lineare: le scene sono sì distinguibili, ma inserite in un contesto unico. L’ambiente è verosimilmente africano, data la presenza di grossi felini, in particolare di un leone. Elementi innovativi, evidenti nella scena del presumibile guado di una palude, sono dei particolari tratti al fine evidenziare il movimento in acqua e l’utilizzo sapiente del chiaroscuro per dare profondità alla scena, particolarmente evidente nelle svastiche a contorno del mosaico.
La grave condizione in cui versavano i mosaici al ritrovamento ha costretto i restauratori a distaccarli dalle sedi originarie per potervi meglio lavorare nei laboratori del Museo Paolo Orsi di Siracusa. Tuttavia lodevole è stata la scelta (anche elicitata da pressioni da parte di associazioni culturali e cittadini) di riportarli nelle sedi originarie al termine dei trentennali lavori di restauro, al fine di una migliore valorizzazione. Tuttavia l’attuale copertura a protezione dei mosaici risulta insufficiente, tanto che recentemente vi ha perfino partorito una cagnetta randagia.
Conscio di tali inadeguatezze, il Dott. Corrado Bonfanti, in qualità di attuale Sindaco di Noto, vorrebbe bypassare la Soprintendenza regionale per prendersene personalmente cura, affidando con bando pubblico la gestione della struttura a una start-up di giovani preparati. Tuttavia tra decreti, leggi e cavilli burocratici la situazione è in fase di stallo.
Fonte Testo: Antonino Rampulla
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